Nella crisi greca c’è qualcuno che non vuole che notizie e dati alfanumerici vengano diffusi e, quindi, veicolati ai cittadini che stanno pagando il prezzo più caro del quasi default. La Bce ha detto no all’accesso a due documenti connessi alla situazione economica del paese quasi fallito, in quanto “la loro divulgazione avrebbe arrecato pregiudizio alla tutela dell’interesse pubblico della politica economica dell’Unione e della Grecia”. Così la pronuncia del Tribunale di primo grado dell’Unione europea sul ricorso presentato da Bloomberg Finance proprio contro la decisione dell’istituto ora guidato da Mario Draghi di negare l’accesso a due file relativi all’impatto su deficit e debito pubblici degli swap negoziati fuori borsa. Oltre che sulla cosiddetta operazione Titlos, una società creata ad hoc dalla Banca nazionale Greca (l’istituto, per intenderci, che nel biennio di crisi ha regalato 70 miliardi di finanziamento pubblico a giornali e tv del paese), e sulla possibile esistenza di operazioni analoghe, che avrebbero come immediata conseguenza riflessi precisi sui livelli di debito e deficit pubblici dell’intera eurozona.

I fatti: nell’agosto del 2010 la giornalista di Bloomberg Finance, Gabi Thesing, chiese di visionare due file sulla Grecia. Secondo quanto riferito dal Tribunale, nel primo documento vi erano ipotesi e valutazioni da parte dei membri del personale Bce sull’impatto, su deficit e debito pubblici, degli swap negoziati fuori borsa. Il tutto sarebbe stato utile a disegnare un quadro preciso delle condizioni elleniche nel marzo 2010. Ma dopo due mesi (ottobre 2010) la Banca centrale europea motivò il suo nein con il fatto che le informazioni in esso contenute non solo erano superate da un punto di vista temporale, ma la loro divulgazione avrebbe potuto essere ingannevole per pubblico e mercati. Per questo lo stesso Tribunale evidenzia come la Bce non abbia commesso “un errore manifesto di valutazione considerando che la divulgazione del documento avrebbe arrecato un pregiudizio effettivo e concreto all’interesse pubblico per quanto riguarda la politica economica dell’Unione e della Grecia”. E nonostante il merito dei contenuti superati, “non si può ragionevolmente escludere che sarebbero stati considerati come ancora validi”.

Ma la questione degli swap e più in generale degli intrecci economico-politici della crisi non sono affatto “superati”, come dimostrano i due arresti avvenuti un mese fa in Grecia, proprio di due giornalisti che avevano diffuso notizie in questo senso. Il primo era stato l’inchiestista Kostas Vaxevanis, che sul suo settimanale Hot Doc aveva pubblicato (tutta o in parte) la famosa Lista Lagarde, l’elenco dei duemila evasori ellenici che negli ultimi anni hanno portato in Svizzera svariati miliardi di euro, (frutto di guadagni in nero e si sospetta anche di tangenti), che nei giorni precedenti era già circolata in alcune redazioni giornalistiche europee. Una lista di “soli” professionisti, che in molti sospettano sia stata ripulita di nomi ben più scottanti e legati alla classe dirigente del paese e che era stata inviata ad Atene dall’allora ministro delle finanze francese Christine Lagarde ai parigrado greci, con il tramite dei servizi segreti.

Ma i due ex ministri Papaconstantinou e Venizelos hanno fatto spallucce, dicendo che non era stata protocollata e di fatto non chiarendo dove si trovi, oggi, quell’elenco completo. Vaxevanis era stato arrestato, processato per direttissima e assolto in primo grado, ma i pm inquirenti hanno fatto ricorso e a breve dovrà tornare a difendersi in Aula. La seconda “penna” ammanettata è quella di Spiros Karazaferris, fratello di Iorgos, leader del partito nazionalista del Laos, arrestato con modalità pirotecniche con quattro auto che bloccarono la strada dinanzi all’ambasciata israeliana e con le teste di cuoio greche (i famosi corpi speciali Mat) che lo portarono in carcere.

Poco prima nella sua trasmissione su Art aveva detto di essere pronto a diffondere documenti che proverebbero come i dati sul default ellenico fossero stati alterati, oltre agli stessi e onnipresenti swap. E che aveva ottenuto quei riscontri dal gruppo di hacker Anonymous, che due giorni prima aveva attaccato il server del ministero delle Finanze ateniese, mettendo in rete documenti segreti sui negoziati fra il governo di Atene e la troika. E aveva concluso il suo programma dicendo di essere certo che il deficit greco fosse stato “fraudolentemente forzato”, al fine di ricevere altri aiuti dei creditori internazionali. Fu scarcerato il giorno dopo, ma con l’effetto di intimorire molti suoi colleghi, anche europei.

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