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Milano, tenta il suicidio in carcere giudice condannato per ‘ndrangheta

Il gesto dell'ex gip di Palmi all'indomani della condanna a 4 anni dalla procura di Milano per corruzione aggravata da finalità mafiosa. Secondo l'accusa sarebbe stato "a libro paga" delle 'ndrine
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Il giudice Giancarlo Giusti, condannato giovedì a 4 anni per corruzione aggravata dalla finalità mafiosa, ha tentato il suicidio nel carcere di Opera. Ha tentato di impiccarsi, pare con il cordino dei pantaloni. Il magistrato, sospeso dal Csm all’indomani dell’arresto nel marzo scorso, è stato subito ricoverato in ospedale. E’ in prognosi riservata e, da quanto si è saputo, non sarebbe in pericolo di vita.

Giusti, dal 2001 giudice delle esecuzioni immobiliari a Reggio Calabria e poi dal 2010 gip a Palmi, è finito in carcere il 28 marzo scorso in un’inchiesta della Dda di Milano sulla cosca dei Valle-Lampada e, in particolare, in un filone relativo alla cosiddetta zona grigià della mafia calabrese. Con lui, infatti, sono stati condannati, tra gli altri, anche l’avvocato Vincenzo Minasi e il direttore dell’hotel ‘Brun’di Milano, Vincenzo Moretti (quest’ultimo, però, solo per favoreggiamento e con pena sospesa). Proprio in quell’albergo, infatti, secondo le indagini, il magistrato avrebbe goduto di soggiorni di lusso in compagnia di escort e a pagare sarebbe stato il clan della ‘ndrangheta. Gli inquirenti all’epoca sequestrarono anche una sorta di “diario informatico” in cui il giudice avrebbe annotato i suoi viaggi di piacere a Milano. Il 10 ottobre 2008, ad esempio, scriveva: “due giorni a Milano fra donne, amore, vino e affari”. In cambio, secondo l’accusa, il magistrato avrebbe nominato in alcuni procedimenti dei professionisti, in qualità di periti, segnalati dal clan e sarebbe stato ‘socio occultò di una società off-shore amministrata dall’avvocato Minasi e che si sarebbe aggiudicata 5 lotti immobiliari all’asta, nel marzo 2009.

Prima della condanna, però, Giusti ha voluto provare a spiegare le sue ragioni con una memoria depositata al giudice Alessandra Simion. Ha definito “disdicevoli” i “divertimenti” a cui si è lasciato andare e ha chiesto “scusa all’intera magistratura italiana”. Anche se ha chiarito di essersi sempre comportato “in modo integerrimo” nel suo ruolo di magistrato. Sui suoi rapporti con alcuni presunti ‘ndranghetisti, poi, ha scritto: “Ho conosciuto in un periodo buio per la mia vita delle persone che ho considerato amiche”.

 

 

 

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