Dopo il cambio di vertici nel Consiglio Militare Supremo egiziano imposto dal Morsi alcune settimane fa, in Egitto cresce sempre di più la preoccupazione per un eccesso di potere da parte del primo presidente eletto democraticamente nella storia. L’ennesimo campanello di allarme è dato dalle vicende legate agli organi di stampa egiziani. Dallo scorso mese a oggi, infatti, diversi giornalisti sono finiti alla sbarra per articoli e programmi critici nei confronti degli ikhwan (il nome in arabo con cui vengono chiamati i Fratelli Musulmani). I primi uffici a essere perquisiti sono stati quelli di Al Dostour, giornale di proprietà di un uomo d’affari cristiano copto. Il blitz della polizia aveva fatto scattare le manette per il suo direttore con l’accusa di aver incitato alla violenza contro il presidente Morsi tramite la pubblicazione di alcuni articoli e editoriali. Poi, è stata la volta della sospensione di Al Phareen – canale tv molto popolare grazie a Tawfiq Okasha, stravagante giornalista vicino a Hosni Mubarak – mentre altre rubriche di opinione di diversi quotidiani venivano censurate.

“Tutte le decisioni che sono state prese in quest’ultimo mese stanno provocando una mancanza di fiducia nelle nuove istituzioni e stanno attaccando il nostro diritto naturale di opinione, di scrivere e pensare quello che vogliamo” spiega Islam Afifi, direttore di Al Dostour. Alcuni giorni dopo il suo arresto il capo di stato egiziano aveva deciso il rilascio per Afifi tramite un decreto che cancellava la detenzione preventiva per i reati di stampa. Un passo indietro che però che non ha convinto l’opinione pubblica. “Questo provvedimento non basta, il paese ha bisogno di una legge chiara che regoli i reati di stampa e le licenze televisive ” ha affermato in un comunicato Joel Simon, direttore del CPJ, il comitato per la protezione dei giornalisti. “Le autorità devono fermare la repressione che sta avvenendo nel mondo dell’informazione, comprese le intimidazioni contro i giornalisti e le loro testate”.

La preoccupazione cresce anche di fronte alle nuove nomine imposte dai Fratelli Musulmani nei media di stato e nel sindacato dei giornalisti. Infatti, nelle tv e nei giornali governativi – che sono state per decenni un baluardo del regime di Mubarak – circa 50 giornalisti, compresi i direttori, sono stati licenziati e sostituiti con persone vicine ai Fratelli Musulmani. Il potere degli uomini vicini a Morsi si è esteso sino al sindacato di categoria che vede un nuovo organigramma con una schiacciante maggioranza di consiglieri nominati dagli ikwhan.

“Il sindacato è l’organismo che si occupa di dare le licenze ai giornalisti, di sanzionarli e di decidere sulla condanna di chi lavora negli organi di informazione – spiega Afifi – il consiglio, quindi, decide sulla nostra carriera. Ora rischiamo una presa di controllo totale del mondo dell‘informazione e una conseguente censura di chi sta all’opposizione”. Per Gennaro Gervasio, professore di storia del Medio Oriente alla BUE, British University of Cairo, questa apparente deriva totalitaria dal parte degli ikwhan presenta diversi aspetti fondamentali. “Il cambio di vertici nei media di stato è abbastanza normale poiché non c’era stato nessun turn over dopo la rivoluzione e i giornalisti erano ancora quelli vicini all’ex regime”, spiega Gervasio. “Dall’altro lato, però, questo potrebbe essere un segno preoccupante dell’incapacità dei Fratelli Musulmani di realizzare un sistema democratico”. Intanto, la prossima udienza per Islam Afifi sarà il 4 ottobre, un processo definito da molti analisti un vero e proprio banco di prova per il nuovo governo islamico.

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