Forse davvero alla Convention repubblicana Clint Eastwood ha parlato da “vecchio pazzo” (Michael Moore), ma una cosa vera l’ha detta: “Noi siamo i proprietari di questo Paese e i politici sono i nostri dipendenti”.

Un concetto elementare per qualsiasi democrazia rispettosa dei propri cittadini. Non certo per i poveri sudditi italiani, costretti a foraggiare una classe dirigente che non dirige più niente se non la bancarotta a cui ha ridotto lo Stato. Basta osservarli, politici falliti e tecnici impantanati, mentre con le faccette abbronzate e i vezzosi pulloverini transumano da una festa di partito all’altra, blindati da plotoni di agenti sottratti alla pubblica sicurezza.

Basta ascoltarli mentre, impalcati e microfonati, dispensano perle di buon governo. Si limitassero all’inettitudine, pace. No, annunciano al vento fantasmagorici patti per la crescita o immaginarie leggi anticorruzione, quando sanno benissimo che a crescere rigogliosamente sono soltanto la disoccupazione, i precari (3 milioni), i giovani a caccia del primo impiego (618mila), i furti e gli sprechi, le mazzette pagate per avvelenare impunemente gli abitanti di Taranto e non solo loro.

Invece di nascondersi per la vergogna, si muovono compatti come falange (non ingannino le finte dispute da pollaio), convinti di potersi permettere di tutto, visto che giornali e giornalisti cresciuti alla scuola del servo encomio tengono loro bordone, alcuni per chiara vocazione, altri per non farsi chiudere i rubinetti delle provvidenze. Esemplare il caso delle telefonate tra il Capo dello Stato e un ex alto dignitario coinvolto nell’indagine sulla trattativa Stato-mafia e provvisto di robusta coda di paglia.

Appena si fa l’ipotesi che quelle conversazioni possano essere rese pubbliche per dovere di trasparenza, è subito tutto un arrampicarsi trafelato sul Colle di premier, ministri e segretari di partito, tutto uno stracciar di vesti, un gridare al complotto ordito certamente da menti raffinatissime determinate a impedire il cambiamento. In realtà, tutto quel solidarizzare e stringersi a coorte mira a conservare l’esistente, con annesse poltrone e pennacchi. Esistente che in Italia, caro ispettore Callaghan, significa che i proprietari del Paese sono i politici e noi i loro dipendenti (che a volte, per farsi ascoltare da una miniera, si legano a una carica di tritolo).

Il Fatto Quotidiano, 2 Settembre 2012

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