Alla fine, per quanto possa sembrare strano, molto più che un turno amministrativo, questo voto sarà un referendum sulle alleanze, mai così incerte negli ultimi venti anni. Molto probabilmente sarà l’occasione per stilare un certificato di decesso del Popolo della libertà così come lo abbiamo conosciuto fino a oggi. Sicuramente sarà il sismografo che rivela la forza reale del Movimento Cinque Stelle. Vediamo perché e con quali effetti. Forse non tutti i sette milioni di italiani chiamati alle urne per le amministrative in 770 diversi comuni italiani se ne sono ancora resi conto: ma con il voto di domenica prossima influenzeranno la nuova legge elettorale, il destino del governo, e disegneranno anche le future coalizioni. Quelli di sinistra – per esempio – decideranno che ne sarà della tanto discussa “Foto di Vasto”. Ovvero del patto elettorale tra Pd, Idv e Sinistra e libertà che nei 25 capoluoghi in cui si vota è stato stilato in ben 19 città (comprese le 3 in cui ingloba persino l’Udc allargando i suoi confini). È l’alleanza più presente sul territorio contando sia la destra che la sinistra.

Già questa è una sorpresa, visto che molto dirigenti dell’ala centrista del Pd l’avevano precipitosamente dichiarata un progetto politico defunto, anacronistico e poco attraente. Sarà. Ma intanto il “patto ABC” (Alfano-Bersani-Casini) che regge il governo, ha trovato incarnazione – come ricordava Il Corriere della Sera – solo nella periferica Pozzallo. Mentre in tutte le città più importanti, il nuovo centrosinistra è stato scelto dai partiti sul territorio come la coalizione con più probabilità di vittoria: dalle regioni rosse al meridione, dal Piemonte alla Lombardia, dalla Liguria al Lazio.

Infine c’è una notizia che i sondaggi e le stime di queste ore rivelano in modo pressoché unanime, ma che i media hanno quasi occultato: lunedì sera il Pdl, potrebbe essere un partito archiviato dai suoi stessi sostenitori, passando da prima forza nazionale a terzo polo. Il primo motivo è semplice: dopo la rottura con la Lega, il Pdl ha perso la sua centralità coalizionale in tutto il nord. Ma anche in alcune capitali del Sud (vedi Taranto) dove è incalzato dalla concorrenza della coalizione di estrema destra di Cito (Mario, il figlio) alla propria destra. E soprattutto nella strategica Sicilia, dove, al centro, subisce la concorrenza durissima dell’Mpa di Raffaele Lombardo.

Prendiamo una delle città più importanti di questa tornata, Verona. Un tempo era considerata un bastione del centrodestra. Oggi tutto è cambiato: qui il sindaco uscente Flavio Tosi punta a vincere al primo turno e a fare cappotto contro gli ex alleati: “Il Pdl? Ma a Verona non esiste più – mi dice lui con un sorriso eloquente – già prima del voto. Le mie liste lo hanno svuotato di tutti i candidati che hanno credibilità e voti. Penso che arriveranno terzi dopo il candidato di sinistra”. Possibile? Sì, perché anche a Verona la sinistra è unita, mentre il Pdl, malgrado un candidati molto grintoso, è sostenuto da una lista civica.

Prendete un’altra città decisiva. Per motivi del tutto diversi anche a Genova il Pdl è ai margini della sfida. All’ombra della lanterna molti sondaggi dicono che il centrosinistra, anche per effetto della lista Doria, potrebbe vincere persino al primo turno. Non a caso a Genova venerdì chiuderà Pier Luigi Bersani, e la destra si è divisa perché il Pdl non poteva mandare giù il nome di Enrico Musso, ex capolista di Forza Italia, poi ribellatosi a Silvio Berlusconi e coccolato dal Terzo Polo (che alla fine lo ha considerato “troppo laico”). Risultato finale: spezzatino elettorale a destra, anche qui.

E se persino a Genova il Pdl arrivasse terzo? Non è un mistero che prima delle amministrative, come per prendere atto anticipatamente di una sconfitta prevista e inevitabile, Silvio Berlusconi avesse lanciato una proposta-choc: “E se in questa tornata non ci presentassimo con il nostro simbolo?”. I notabili locali erano insorti, di fronte all’eventualità di essere cancellati sul territorio, e così la retrocessione sul campo che l’ex premier voleva mascherare resta possibile, con un dato persino inferiore a quello assegnato oggi dai sondaggi nazionali.

Ma allora, se questo fosse il quadro, a cosa servirebbe la riforma elettorale su cui A, B e C si stanno accordando in Parlamento? A impedire – per esempio – che l’alleanza di governo cada il giorno dopo il voto. Infatti, se il Pdl andasse sotto la soglia del 20% non avrebbe nessuna possibilità di essere competitivo. È vero che molti a destra sperano che ad attenuare il gap con la sinistra possa esserci il risultato delle liste Cinque Stelle, che l’Swg indica al 7%, ma in quel possibile dato (se si realizzasse sarebbe sensazionale) entrano anche, come raccontano quelli del movimento di Beppe Grillo, candidati delusi del centrodestra (e soprattutto della Lega).

Ecco perché l’ultraporcellum porterebbe a casa tre modifiche salva-Pdl.

Eliminerebbe le coalizioni, renderebbe possibile l’indicazione di un candidato premier fittizio (impossibile che qualsiasi partito ottenga la maggioranza da solo), gratificherebbe di un premio le prime tre forze (ripescando la destra da una probabile sconfitta). Infine alzando lo sbarramento al 5% cercherebbe di realizzare l’ultima truffa: cancellare l’avanzata del Cinque Stelle. Più la sconfitta elettorale alle amministrative dell’ex centrodestra sarà forte, più il tentativo di camuffare la proroga del governo Monti sarà difficile, più la truffa dell’ultraporcellum sarà impresentabile. Ecco perché, anche stavolta, il voto locale avrà ricadute nazionali.

Il Fatto Quotidiano, 3 maggio 2012

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