Dividono molto, e questo è sempre un bene. Chi li trova “pessimi”, chi “piacevolissimi” (soprattutto dal vivo). Chi “una delle migliori band italiane uscite negli ultimi anni”, chi li detesta perché se la tirano oltremodo. Chi non va oltre il “divertenti”, chi li stronca con un icastico “noia”. E chi ritiene che il loro successo di pubblico e critica non sia immeritato, ma testimoni al tempo stesso la risacca creativa artistica della musica italiana “alternativa”, che ci spinge a gridare al miracolo anche solo di fronte a gruppi normali.

Sono i Nobraino, che presentano in anteprima e in streaming al sito del Fatto Quotidiano (e non saranno gli unici) il nuovo “Disco d’oro”. Disponibile dal 9 marzo, etichetta MarteLabel, distribuzione Venus. Le tre opere precedenti erano state, per loro ammissione, souvenir dei live. “Concerti al buio” da vendere dopo le performance dal vivo, autentica acme della loro attività. Un album d’esordio che era già antologico (The Best of Nobraino, 2006), Live al Vidia Club nel 2007 (con una cover di Capossela e Ma che freddo fa) e nel 2010 No Usa! No Uk!. L’opera che li ha fatti scoprire, portandoli anche al Club Tenco e a RaiTre da Serena Dandini. La produzione era di Giorgio Canali, ex CSI e Pgr, artefice in quel periodo anche del “caso” Luci della Centrale Elettrica.
 Disco d’oro, che ironizza sul premio discografico – anche se la motivazione intellettuale è quella della metafora del bene rifugio, con un titolo “colorato” che rimanda al White Album dei Beatles – è il primo lavoro dei Nobraino che non si limita a registrare didascalicamente brani. La produzione è di Manuele “Max Stirner” Fusaroli, l’idea quella di raggiungere “un’enfasi mai sperimentata prima”: se il concerto è verità teatrale, il disco assurge a finzione cinematografica.

Tutto, nei Nobraino, appare deliberatamente sopra le righe. Il rischio è quello di ammaliare all’inizio e stancare per saturazione alla distanza. Si sono formati a Riccione. Prima facevano basket. Leggenda vuole che nel 1996 si siano asserragliati in un hotel chiuso, affittando gli strumenti e imparando a suonare. Un quartetto classico: voce, chitarra, basso e batteria (con il trombettista fermo al grado di “Aspirante Nobraino”). Il leader è Lorenzo Kruger, autore dei bei testi e cantante: voce stentorea, teatrale, recitata, un po’ monocorde (come capita con i Baustelle). 
Il genere è quello del rock d’autore, un folk rock con produzioni spesso sporche e muscolari. I detrattori, all’inizio, li ritenevano uno strano morfing tra Modena City Ramblers e Litfiba. In Disco d’oro diviene ancora più evidente la matrice cantautorale (Cani e porci e Il mio vicino sembrano provenire dal De André dei Sessanta), innestata qua e là da suggestioni minime di Led Zeppelin e soprattutto Primus. Nel loro percorso c’erano già alcune canzoni notevoli: I signori della corte, Bifolco, Narcisisti misti. Disco d’oro è più compiuto, più meditato, più coeso (ma forse meno istintivo).

Qualche buona fiammata testuale (“Voglio fare un record del mondo di chi sta più bene”, “Avevo un tatuaggio al collo con scritto “Strozzami”, “Persone colte, sì ma colte in fallo”), racconti sbilenchi riusciti a metà (Bademeister), la pacifista (per contrasto) Il Mangiabandiere. L’irrisolta Bunker, che racchiude tutto ciò che i Nobraino non dovrebbero essere (tronfi, barocchi, intellettualoidi). E Cesso di vivere, ballata che pare giungere dalle pagine più ispirate dei La Crus. 
Il livello medio è discreto. La qualità c’è, la varietà e l’originalità un po’ meno. Menzione d’obbligo per Film muto, piccola perla che spunta – non senza meraviglia – poco prima che le dodici tracce evaporino.

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