“In questi giorni ho riletto quella poesia di Totò che dice che la morte è una livella, davanti a lei tutti siamo uguali. Ma questa sentenza sembra sostenere il contrario”. Il 13 febbraio Enzo Sansone non ha esultato. Per lui che a causa dell’amianto ha perso entrambi i genitori a Torino giustizia non è stata fatta. La sua è la storia dell’altra Eternit, quella napoletana, che ha perso due volte: prima il diritto alla vita, poi quello al risarcimento. Perché la sentenza che ha condannato i vertici dell’azienda a sedici anni di reclusione per disastro doloso e omissione di cautele, ha tenuto conto solo dei reati commessi dal 13 agosto 1999 in poi, escludendo di fatto dal risarcimento gli operai di Reggio Emilia e di Bagnoli e spaccando in due l’Eternit e l’Italia: da un lato il Piemonte, con gli stabilimenti di Casale Monferrato e Cavagnolo, dall’altro l’Emilia e la Campania.

Nella periferia ovest di Napoli le fibre di amianto hanno tolto la vita a 466 persone, mentre altre 148 sono costrette ancora oggi a convivere con tumori e malattie legate all’esposizione all’asbesto. Ma si sono ammalate troppo presto e il diritto al risarcimento è stato prescritto. In sede processuale non è servito citare i dati medici allarmanti di Bagnoli, con tassi di malattie tumorali decine di volte più alti della media. Come nel caso del mesotelioma, “una malattia che in condizioni di normalità colpisce una persona ogni centomila, e che invece qui ha ammazzato otto operai su cento”, dice Massimo Menegozzo, consulente del sostituto procuratore Raffaele Guariniello nel processo di Torino. Né ha aiutato ricordare che il picco di malattie tumorali a Bagnoli è previsto per il 2020. E non solo per colpa della Eternit. Nell’area classificata dal ministero dell’Ambiente tra i siti di interesse nazionale a causa dell’inquinamento, c’è quel che resta dell’Italsider e della Cementir, altre due bombe ecologiche che hanno lasciato sul territorio morte e desolazione. E i cui terreni, come quelli della fabbrica di tubi di amianto, non sono ancora stati del tutto bonificati. Mancano i soldi, e non arriveranno neppure quelli che sarebbero spettati come risarcimento alla Regione Campania, parte civile al processo di Torino.

Intanto, a pochi passi da quel che resta delle vecchie fabbriche continuano a vivere migliaia di persone. “Sotto gli alberi dell’area Eternit sono ancora ammassati sacchi bianchi pieni di amianto – protesta Sansone – E proprio accanto ai terreni ancora inquinati ci sono case e palazzi, dove c’è gente in carne e ossa. Ecco perché siamo determinati ad andare avanti: in questo territorio il reato non è prescritto, non è finito”. Tra poco meno di tre mesi saranno pubbliche le motivazioni della sentenza. “Solo allora – affermano gli avvocati degli operai napoletani – potremo impugnarla e ricorrere in appello”. Per ora, tuttavia, un primo spiraglio l’ha lasciato aperto lo stesso Guariniello, che ha assicurato che nel “procedimento per omicidio verranno presi in considerazione i morti, sia tra i lavoratori sia tra i cittadini, non solo di Casale Monferrato e di Cavagnolo, ma anche di Rubiera e di Bagnoli”. Il primo passo, però, resta il ricorso in appello, cui potrebbe seguire l’apertura di un altro fronte processuale, questa volta a Napoli, con l’obiettivo di portare in Tribunale per disastro ambientale tutte le fabbriche del napoletano che negli anni hanno utilizzato o prodotto amianto: dall’Eternit all’Italsider, dalla Sofer alla Italtubi, dalla Federconsorzi alla Cementir. Tutti uniti, in un unico processo che restituisca giustizia e dignità a un territorio martoriato e a chi nell’intera provincia, e non solo a Bagnoli, a causa dell’amianto ha perso la vita.

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