Marie Colvin e Remi Ochlik sono le due vittime accertate della pioggia di razzi che ha colpito il centro media allestito dai ribelli anti-Assad nel quartiere di Bab Amr, a Homs, in Siria. Assieme a loro, sono rimasti feriti almeno altri due giornalisti occidentali, il fotografo britannico Paul Conroy, collega di Colvin al Sunday Times, e la reporter francese Edith Bouvier, che sembra essere in condizioni gravi. Oggi è morto anche un giornalista siriano, Rami Al Sayed, che da quel centro media trasmetteva le immagini in streaming che facevano il giro del mondo sui network internazionali. Al Sayed era stato ferito gravemente ieri, quando la sua auto era stata centrata da un colpo di mortaio.

Secondo Reporters senza frontiere, l’attacco contro il centro media è stato deliberato: “Dalle nostre informazioni, 11 razzi hanno centrato l’edificio – ha scritto l’organizzazione internazionale per la libertà di stampa – Ed era di dominio pubblico che quel palazzo ospitava regolarmente giornalisti”.

Tragicamente burocratica la reazione del regime siriano. In un comunicato, il ministero dell’interno ha invitato “tutti i giornalisti entrati illegalmente a presentarsi al più vicino centro per il controllo dell’immigrazione per risolvere la propria posizione secondo le leggi in vigore”. Di tutt’altro tenore, invece, le reazioni internazionali, tra cui anche quella di Mosca che ha “condannato con fermezza” l’uccisione dei reporter. “Ora basta. Il regime deve andarsene”, ha tuonato dal Parigi il presidente francese Nicolas Sarkozy. La stampa d’Oltralpe aveva già subito il lutto della perdita di Gilles Jacquier, reporter di France24 ucciso a Homs l’11 gennaio scorso. Il ministro degli esteri francese Alain Juppe ha convocato l’ambasciatore siriano a Parigi per protestare ufficialmente e chiedere l’apertura di corridoi umanitari, con la collaborazione della Croce Rossa internazionale, per portare soccorso alla popolazione di Homs, una città dove, secondo quanto scriveva Colvin, mancano acqua, elettricità, cibo e i civili rimangono asserragliati in casa per paura “degli occhi spietati dei cecchini”.

Secondo i racconti dei gruppi dell’opposizione siriana, sono entrati in azione anche gli elicotteri da combattimento che dall’alto prendono di mira i palazzi dove sono visibili antenne satellitari. Soltanto ieri i morti a Bab Amr, quartiere ormai in gran parte distrutto, sono stati almeno 40, mentre i cannoneggiamenti delle truppe regolari di Damasco si sono estesi ad altre zone della città, tra cui i quartieri di Bab al-Sabaa, al-Khalidiya e Karm al-Zeitun.

E mentre l’Ue ha annunciato che lunedì al consiglio dei ministri degli esteri sarà studiato un nuovo pacchetto di sanzioni contro la Siria, Basma Kodmani, una portavoce del Consiglio nazionale siriano – il principale gruppo dell’opposizione – ha detto, da Parigi – che “inizia a sembrare che l’intervento militare sia la sola soluzione rimasta”. “Ci sono due mali all’orizzonte – ha detto Kodmani – L’intervento militare o una prolungata guerra civile”. Il Cns, secondo Kodmani, sta facendo pressione sulla Russia perché convinca Assad a consentire il passaggio di convogli umanitari. Sulla Russia sta premendo anche l’Arabia saudita. Secondo l’agenzia saudita Spa, il re Abdallah ha avuto oggi un colloquio telefonico con il presidente Dimitri Medvedev: “Gli amici russi avrebbero dovuto coordinarsi con gli arabi prima di porre il veto – ha detto il re – Ormai qualunque dialogo su ciò che accade in Siria è vano”.

Dopodomani a Tunisi si apre l’incontro internazionale “Amici della Siria”, sponsorizzato anche dal governo turco. Per l’Italia dovrebbe esserci il ministro degli esteri Giulio Terzi. L’agenzia di stampa turca Anadolu ha citato Khalid Hoca, componente della commissione relazioni estere del Cns, secondo il quale l’opposizione si prepara a chiedere “di dare all’opposizione la possibilità di difendersi”. In pratica, nella nuova “iniziativa araba” che dovrebbe essere lanciata proprio da Tunisi, potrebbe esserci la previsione di appoggio logistico diretto e rifornimenti alle milizie del Free Syria Army. Una prospettiva disperata che difficilmente però potrà contribuire a fermare un massacro che dura ormai da quasi un anno.

di Joseph Zarlingo

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