Il caso del senatore del Pd e tesoriere della Margherita, Luigi Lusi, reo confesso di un apparente enorme furto ai danni del suo ex partito e ora espulso dal gruppo dei democratici di Palazzo Madama, spiega bene perché i cittadini siano costretti a digerire la medicina amara di una manovra finanziaria dopo l’altra. La profonda crisi in cui versa un Paese che sulla carta avrebbe avuto le potenzialità per concorrere con la Germania, non è solo causata dalla situazione internazionale.

Alla base di tutto vi è pure una classe dirigente composta in parte significativa o da manigoldi o da cretini. Gente abituata a dissipare denaro senza nessun controllo. Soprattutto quando si tratta di soldi degli altri.

Che le cose stiano così lo dimostra proprio ciò che è accaduto subito dopo l’esplosione dello scandalo.

Quando Lusi con una frase rocciosa degna de Il Padrino (“Mi assumo la responsabilità di tutto e di tutti”) ha ammesso di aver pazientemente svuotato per tre anni i conti correnti su cui la Margherita aveva accantonato 13 milioni di euro dei contribuenti, gli ex Dl Francesco Rutelli, Enzo Bianco e Giampiero Bocci hanno annunciato di considerarsi parte offesa nell’inchiesta per appropriazione indebita aperta dalla procura di Roma. Poi hanno affermato in una surreale nota: “La notizia è incredibile per la personalità di Lusi, che ha goduto della massima stima e fiducia degli organi del partito, anche concorrendo a fare della Margherita un raro caso di partito con bilanci sani e attivi”.

Insomma, hanno quasi ringraziato l’ex cassiere, guadagnandosi di diritto almeno un posto nella schiera dei politici italiani del primo tipo: quelli fessi e incompetenti. Certo, fatta salva la presunzione d’innocenza, arrivati a questo punto non si può nemmeno escludere che qualcuno di loro, magari assieme ad altri dirigenti di quel partito, militi anche nella seconda categoria, quella dei ladri. Questo però lo sapremo (forse) nei prossimi giorni. Ma a ben vedere si tratta di una questione quasi irrilevante.

Già ora è infatti chiaro che personaggi come questi non hanno nessuna delle caratteristiche necessarie non per aspirare ad amministrare un Paese, ma una semplice vendita al minuto di sali e tabacchi.

Rutelli che sui deposti bancari gestiti da Lusi aveva la firma, per anni non si è evidentemente degnato di farsi inviare nemmeno un estratto conto (cosa spiegabile, visto che non si trattava di soldi suoi ma dei cittadini). E quando la scorsa estate alcuni esponenti del suo in teoria disciolto partito, come Arturo Parisi e Luciano Neri, avevano chiesto chiarezza, ha sbeffeggiato i cronisti che gli domandavano se la questione del tesoro della Margherita era destinata a finire in tribunale. Poi assieme ai suoi due colleghi non ha battuto ciglio o dato segno di sospetti quando ha visto Lusi addirittura rifiutarsi di consegnare agli altri ex dirigenti Dl che ne avevano fatto richiesta una copia dei bilanci.

Un po’ troppo per accontentarsi dell’ormai consueta spiegazione: non ne sapevamo niente. Abbastanza però per comprendere come sono state gestite, da un numero impressionante di esponenti della destra e della sinistra, non solo le finanze dei rispettivi partiti, ma pure quelle del nostro Paese: a loro insaputa.

E questo ovviamente solo nella migliore delle ipotesi.

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