Cinema

L’immortalità di Sherlock Holmes
Libri, cinema e serie tv

di RQuotidiano
Sir Arthur Conan Doyle

Ci sono personaggi letterari che sembrano intoccabili: l’immaginario collettivo li rende quasi reali, con caratteristiche precise e sembra impossibile vederli in modo diverso. Tra i più grandi personaggi creati nella storia della letteratura Sherlock Holmes è sicuramente uno di questi.  Dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle nasce un personaggio storico, protagonista appartenente al genere letterario del giallo deduttivo, al quale diede il via Edgar Allan Poe con Auguste Dupin.

Pensando a Sherlock Holmes, ci si immagina immediatamente un uomo molto serioso che fuma una pipa ricurva e indossa un cappello da caccia, affiancato dall’inseparabile dottor Watson, che viene fraternamente rimproverato dallo stesso Holmes con la frase: “Elementare, Watson!”.

In realtà questi elementi fanno parte di un’erronea ricostruzione e di una consacrazione dell’immaginario collettivo: nei libri, infatti, non si fa mai riferimento a pipe ricurve o a cappelli da caccia come simboli distintivi; anche la famosa frase non è mai pronunciata, se non una volta.

Per molti anni il personaggio ha avuto un grande successo al cinema e in televisione; molti attori hanno indossato i panni di Sherlock Holmes, ma fra tutti spicca Basil Rathbone, che, con Nigel Bruce nella parte di Watson, è stato protagonista tra il 1939 e il 1946 di ben 14 pellicole. Ed è proprio dalla tradizione cinematografica e televisiva che derivano quegli elementi distintivi: la pipa, il cappello, la frase. I lettori fedeli non gridarono allo scandalo, ma è difficile non notare le potenzialità dello schermo rispetto a quelle del libro nel consolidare un mito.

Il detective ideato da Arthur Conan Doyle è il personaggio letterario protagonista del maggior numero di film: ultimamente è stato Guy Ritchie a caratterizzare in maniera completamente diversa Sherlock Holmes. Le caratteristiche intoccabili sono rimaste: la capacità di deduzione, l’intuizione, l’ironia, l’uso di droghe e il violino; ma questo è un Holmes che picchia forte e viene picchiato, che compie acrobazie e non si ferma un attimo, se non per pensare e riflettere sul caso. L’ottimo uso degli “slow motion” per anticipare e mostrare i ragionamenti del detective sono un ottimo espediente per dimostrare la capacità di prevedere le mosse del nemico.

Guy Ritchie sceglie il volto di Robert Downey Jr, affiancandogli Jude Law per la parte di Watson. La coppia funziona benissimo e segnano un ulteriore cambiamento e stravolgimento del personaggio, quasi al punto di non riconoscere più l’inquilino di Baker Street. Per chi conosce lo stile di Guy Ritchie, non è stata una sorpresa vedere tanta azione in un film con protagonista Sherlock Holmes.

In televisione bisogna ammirare la recente serie televisiva britannica prodotta dalla BBC nel 2010: Sherlock.  I produttori esecutivi sono Steve Moffat e Mark Gatiss, conosciuti sia per i loro adattamenti televisivi di opere vittoriane, sia per la serie Doctor Who. La serie è ambientata nella Londra dei giorni nostri; Watson (Martin Freeman) è un reduce dalla guerra in Afghanistan e deve ancora ritrovare il suo posto nella società civile. Ci proverà affiancandosi a Sherlock Holmes (Benedict Cumberbatch), che lo invita ad essere il suo coinquilino in Baker Street e ad aiutarlo nel risolvere alcuni casi di omicidio.

Sherlock è una serie rivelazione: l’adattamento ha comunque mantenuto elementi tradizionali, affiancandoli all’utilizzo della tecnologia. I pensieri di Sherlock (tortuosi, rapidi, brillanti) vengono mostrati in sovraimpressione, per aiutare lo spettatore a raccogliere indizi, ma la velocità di Sherlock è davvero impressionante, al punto da far sentire idiota chiunque gli sia vicino.

Una regia perfetta, un adattamento riuscito e una giusta dose di tecnologia che non sconvolge il personaggio, ma lo trasporta ai giorni nostri con delicatezza, in puro stile britannico.

La capacità di un personaggio di rivivere in più ambiti (ci sono anche videogiochi dedicati al detective inglese) è il segno di un’immortalità che nasce dalla capacità di un solo autore. È straordinario vedere che ancora oggi si utilizzino personaggi creati più di cento anni fa; personaggi che sono nella storia e li sentiamo quasi reali; personaggi che resteranno per sempre e, anche se modificati, alterati, è impossibile non ritornare alle origini e (ri)prendere in mano i romanzi di Doyle per incontrare il vero Sherlock Holmes.

Daniele Colombi

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