Il candidato repubblicano Mitt Romney

E’ la vittoria che Mitt Romney aspettava. Ampia, travolgente, inequivocabile. L’ex-governatore del Massachusetts si è aggiudicato le primarie repubblicane in Florida con il 46,4% dei voti. Dietro di lui Newt Gingrich, con il 31,9%. Terzo Rick Santorum, al 13,4%. Ron Paul incassa il 7%. Romney conquista tutti i 50 delegati in palio (la Florida è uno stato Winner-Take-All, chi vince ottiene tutti i delegati). Ovvia la sua soddisfazione, nel discorso tenuto ai supporter di Tampa. “Sono pronto ad assumere la leadership del partito repubblicano – ha detto -, a chiudere l’era Obama e a dare inizio a una nuova era di prosperità per l’America”.

“Newt, It’s over”, Newt è finita, cantava il popolo di Romney, ieri sera, raccolto davanti al suo candidato. In effetti il voto in Florida dà un segnale esplicito. Sarà a questo punto difficile, molto difficile, sfilare la candidatura dalle mani di Romney. “Mitt ha troppo slancio, soldi e organizzazione perché qualcuno lo possa fermare”, spiega Nick Ragone, analista e storico della politica. Gran parte dei prossimi Stati dove si voterà – in particolare Nevada, Maine, Colorado, Michigan – pendono largamente dalla sua parte. Nelle sue casse ci sono almeno 20 milioni (da spendere soprattutto in costosissimi spot televisivi che in Florida, come prima in Iowa, hanno steso Gingrich), oltre ai milioni che “Restore Our Future”, un comitato politico indipendente, farà affluire nella sua campagna (il gruppo, sinora, ha speso 17 milioni di dollari a favore di Romney).

Non sono soltanto i numeri della vittoria a confortare l’ex-governatore. Un’analisi del voto mostra che sul suo nome si sono allineati settori fondamentali dell’elettorato repubblicano. Per lui, in Florida, si è dichiarata la maggioranza di chi ritiene l’economia “il tema più importante di queste elezioni” (un gruppo particolarmente ampio nella Florida devastata dai pignoramenti delle case). Romney ha guadagnato il 51% del voto femminile (contro il 29% del suo rivale), ma anche la maggioranza di quello maschile (41% contro 36%). Elettori sopra i 65 anni, cattolici e ispanici (1 elettore su 7 in Florida) hanno anch’essi scelto Romney. A votare in larga maggioranza per Gingrich sono stati, ancora una volta, i conservatori (il 51% di chi si considera un “vero conservatore” ha votato per l’ex-speaker), gli evangelici e i membri del Tea Party. Un’ulteriore cattiva notizia, per Gingrich, è venuta dalla distribuzione geografica del voto. Per lui, con un margine molto esiguo, si sono dichiarate le contee del nord dello Stato, quelle confinanti con la Georgia, dove Gingrich è nato. Ma a Romney sono finiti i voti del sud, di buona parte del centro e delle aree urbane, tendenzialmente più ricche e avanzate: Tampa, Orlando, Jacksonville, Tallahassee, Miami.

Poche centinaia di supporter, con nessuna voglia di festeggiare, hanno salutato Gingrich dopo il voto in un hotel di Orlando (tra i giornalisti girava una battuta: “C’è un reporter per ogni fan di Newt”). Molti levavano un cartello (visibile anche dal podio da cui ha parlato Gingrich): “Ancora 46 Stati dove votare”, segno della caparbia volontà dell’ex-speaker di restare in corsa. Il suo discorso di saluto ha ancora una volta rilanciato il tema, caro alla base repubblicana, delle élites dei media “che mi hanno dato politicamente per morto altre volte nel passato”. Più forte, rispetto al passato, è stata la rivendicazione del suo essere un maverick, un candidato indipendente, fuori del coro, lontano dal suo stesso partito ed espressione delle istanze elettorali più popolari e genuine. “Prometto di condurre una campagna per il popolo. Non una campagna repubblicana. Non una campagna dell’establishment. Non una campagna finanziata da Wall Street”, ha detto. Nonostante i propositi bellicosi, tipici di un politico aggressivo e tenace, Gingrich vive comunque un periodo difficile. In Nevada, dove si terranno i prossimi caucuses, l’ex-speaker ha cancellato due eventi su tre. La troupe che l’ha seguito sinora, filmando tutta la sua campagna, è stata rispedita a Hollywood. Non un buon segno.

Proprio il Nevada appare alla portata di Romney (che, nel 2008, qui vinse con il 51% dei voti). Un elettorato travolto dalla crisi economica (il Nevada ha il numero più alto di foreclosures in tutto il Pese), dalla disoccupazione, con una forte presenza di anziani, ispanici, mormoni, promette di premiare l’ex-governatore del Massachusetts. In Nevada, in giro per comizi, sono intanto già gli altri due avversari di Romney, Rick Santorum e Ron Paul. Santorum ha ribadito che non intende abbandonare la corsa (una richiesta più volte reiterata questa settimana da Gingrich, che spera così di riunire il voto cristiano e conservatore), e ha promesso per oggi un discorso veemente contro la riforma sanitaria fatta approvare da Romney in Massachusetts (“così simile a quella di Obama, ha detto Santorum).

Sempre dal Nevada ha salutato i suoi supporter Ron Paul, che proprio in Nevada, Colorado e Maine spera di trovare le condizioni per un risultato migliore e un numero di delegati consistente, da portare alla Convention di Tampa. Nel discorso ai suoi, Paul ha ancora una volta ribadito i cardini della sua campagna: fine delle guerre americane nel mondo, riduzione del Patriot Act, una nuova politica monetaria. “Ci hanno dato una politica estera fallimentare, un budget fallimentare e una recessione fallimentare – ha detto -. Non pensate che sia ora di una nuova politica monetaria?”

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