Il processo al direttore della televisione tunisina Nesma per la proiezione di Persepolis, accompagnato da vivaci proteste islamiste è stato rinviato a metà aprile. Ciò nonostante la prima udienza si è dimostrata un importante test sul rapporto tra Islam e libertà d’espressione nel paese pilota della Primavera araba.

Il film incriminato è basato sull’omonima graphic novel autobiografica di Marianne Satrapi. La pellicola racconta le speranze infrante per la Rivoluzione iraniana del 1979 e si conclude con la protagonista, ormai ventiduenne, costretta ad espatriare dal Paese ormai governato dal regime oscurantista degli ayatollah.

Il film d’animazione era stato proiettato dall’emittente magrebina (di proprietà di Tarak Ben Ammar e Mediaset) dieci giorni prima delle elezioni dello scorso ottobre e nel Paese scoppiò un putiferio: manifestazioni di massa, aspre contestazioni da quella larga parte della società più legata ai valori dell’Islam. Ma c’è di più: un esposto presentato da una serie di avvocati (non solo salafiti) aveva chiesto alla magistratura di intervenire. E così è stato.

Ma la vera notizia è la presa di posizione del partito islamico moderato Ennadha uscito vincitore dalle recenti consultazioni: “In occasione del processo, il partito esprime il suo attaccamento alla libertà d’espressione come diritto indivisibile dai diritti dell’uomo. Considera che i procedimenti giudiziari contro il direttore di Nessma non rappresentino la migliore soluzione per rispondere alla problematica sull’identità del nostro popolo e il suo attaccamento al sacro da una parte, e alla libertà di parola dall’altra. Su questo rapporto bisogna costruire un consenso tra i media, la società civile e la politica”.

Parole testuali, frasi meditate. Per capire ancora meglio la questione bisogna tener presente che il clamore suscitato dalla proiezione di Persepolis è concentrato su una sequenza di neanche un minuto in cui appare dio e parla, con barba bianca su una nuvoletta, come immaginato dalla bambina che dialoga con lui. Disegnare dio è un tabù per i musulmani sunniti. E per capire la contestazione alla tv Nesma si ricordi che i suoi proprietari sono considerati ex sostenitori di Ben Ali e che nella proprietà oltre a Ben Ammar figura anche lo stesso Silvio Berlusconi.

Tutte le associazioni di respiro internazionale – diritti dell’uomo, giornalisti e femministe – si sono mobilitate contro il processo “alla libertà d’espressione” – e a sorpresa all’udienza si è presentato vestito da avvocato anche l’ex primo ministro della transizione, l’84 enne Caid Essebsi.

Dall’altra parte i salafiti erano presenti in massa davanti al Tribunale. Alcuni di loro hanno contestato vivacemente tre noti giornalisti laici locali, che la polizia ha scortato nel vicino commissariato. Sui giornali on line si parla di selvaggia aggressione anche se il parapiglia si è limitato a poco più di due spinto.

In mezzo alla diatriba fra laici e religiosi c’è un paese appena affacciatosi alla democrazia che è ancora in cerca della sua identità. L’idea prevalente è comunque che la proiezione di quella scena del film sia stata una provocazione da non ripetere. “Avrei semplicemente rimosso quei 30 secondi”, dice la neo direttrice della tv pubblica Tunisia 2 Imen Bagroun “E poi l’avrei proiettato perché è un bel film.” Così sostiene la prima donna direttrice di una televisione pubblica. Dal canto suo il partito Ennahda, con la sua presa di posizione contro la “soluzione giudiziaria”, ha fatto un piccolo capolavoro diplomatico: non si è contrapposta a nessuna delle parti in conflitto e ha riportato la questione sul terreno del consenso e dell’autoregolamentazione.

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