Crescita (economica): L’insieme degli aspetti quantitativi dello sviluppo, misurati attraverso le principali grandezze macroeconomiche (reddito nazionale, investimenti ecc.). La teoria della crescita si distingue dall’economia dello sviluppo per l’attenzione esclusiva agli aspetti quantitativi e alla formalizzazione, a discapito dello studio degli aspetti istituzionali, storici, etici, antropologici che condizionano i processi di sviluppo nelle diverse regioni del mondo – fonte: Enciclopedia Treccani

Progresso: lo sviluppo verso forme di vita più elevate e più complesse, perseguito attraverso l’avanzamento della cultura, delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, dell’organizzazione sociale, il raggiungimento delle libertà politiche e del benessere economico, al fine di procurare all’umanità un miglioramento generale del tenore di vita e un grado maggiore di liberazione dai disagi – fonte: Enciclopedia Treccani

Non riesco proprio a capire perché la parola d’ordine per la ripresa dell’Italia debba essere per forza ‘crescita’. Non ci sono mai stati spazi per una riflessione su questo e dubito ce ne saranno nel prossimo futuro. Le prime pagine dei giornali, in questi mesi, hanno ospitato solo questo termine che è stato sposato indistintamente da maggioranze e opposizioni, governi tecnici e politici, destra e sinistra. La crescita è diventato un imperativo, non è un modello di sviluppo ma l’unica dottrina possibile.

Eppure, rileggendo le due definizioni (di certo non figlie di una cultura ideologicamente orientata), continuo a non capire perché il dibattito si sia fossilizzato su un concetto che esclude gli aspetti culturali e il benessere individuale collettivo dall’analisi, riducendo lo stesso benessere come un indicatore economico: più ci si arricchisce (a livello sistemico) meglio si sta. Il progresso è un concetto inclusivo ed estensivo, la crescita no. Se nella definizione di progresso leggiamo ‘il benessere economico’ tra le variabili che concorrono al suo raggiungimento, non leggiamo lo stesso tipo di cura per ambiente, etica, valori, cultura, all’interno della definizione di crescita.

Il mio invito è dunque di cambiare la variabile oggetto dell’analisi: è provare a passare dall’idea di crescita a quella di progresso.

Inseguire la crescita non è la soluzione: la corsa all’oro cancella ogni attenzione per tutto il resto. E quando l’economia implode (come oggi) non ci sono meccanismi di tutela né di garanzia per i cittadini. La necessità di dover dividere l’economia ‘reale’  nelle analisi rispetto a qualcos’altro, che evidentemente è ‘irreale’ o ‘virtuale’, spiega fin troppo bene come i meccanismi della finanza (tutti orientati alla crescita) non producono necessariamente ricchezza per le nazioni e gli individui, né tanto meno garantiscono il progresso.

Il punto, almeno per me, non è passare dalla crescita alla decrescita, più o meno felice. Oggi come non mai, la parola decrescita spaventa, perché è associata alla parola ‘recessione’. E definizioni alla mano, parlare di decrescita è improprio perché non si può davvero sperare che il reddito nazionale e gli investimenti scendano, né credo che chi parla di decrescita voglia davvero meno ricchezza: piuttosto chiede più sostenibilità e rispetto dei diritti individuali e collettivi, sociali e ambientali nel progresso economico.

Per tutte queste ragioni, io sono progressista.

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