Ci ha provato in tutti i modi, il candidato premier del Partito socialista Alfredo Pérez Rubalcaba. Nel faccia a faccia televisivo di lunedì scorso con il suo avversario Mariano Rajoy ha chiesto a più riprese di rassicurare i gay spagnoli, quelli che si sono già sposati e quelli che hanno intenzione di farlo in un prossimo futuro. Ma il leader popolare, lo sguardo perso tra i suoi foglietti di appunti, ha evitato accuratamente di dare una risposta. Se domenica prossima – come indicano tutti i sondaggi – sarà eletto presidente, nessuno è in grado di dire quale sarà il destino della legge che autorizza i matrimoni tra le persone dello stesso sesso varata dal governo Zapatero il 30 giugno del 2005.

È per questo che, da almeno due mesi, si è scatenata tra le coppie omosessuali una forsennata corsa contro il tempo. Una corsa all’insegna dello slogan “aiuto, si sposi chi può!”. Nozze-express, prima che sia troppo tardi. Sono state le stesse organizzazioni che difendono i diritti di gay e lesbiche a lanciare l’allarme sin dall’estate scorsa, quando il divario nei sondaggi tra le quotazioni del Pp e quelle dei socialisti cominciava ad assumere le dimensioni di una voragine. E i risultati si sono visti molto presto: a settembre, le richieste di matrimoni gay erano aumentate del 40 per cento rispetto ad agosto, soprattutto nelle principali città, da Madrid a Barcellona a Valencia. Il rischio, tuttavia, è che le lentezze della burocrazia possano mandare in fumo i programmi di parecchie coppie. Così la comunità gay ha accolto con grande entusiasmo l’iniziativa di José Antonio Rodríguez, socialista, sindaco di Jun, un piccolo Comune (appena 3500 abitanti) nella provincia andalusa di Granada: “Se conoscete qualche coppia gay che si voglia sposare prima del 20 novembre e abbia problemi nel suo municipio, li sposo rapidamente”.

È bastato che diffondesse, ai primi di ottobre, questo messaggio su Twitter per trasformarlo in un baleno nel quinto politico più seguito di Spagna sul social network, superato solo dal presidente basco Patxi López, da Rajoy, Rubalcaba e Zapatero: il suo twit è stato rilanciato, in appena 24 ore, da 190 mila internauti. E il suo Comune è stato subito ribattezzato come la nuova “Las Vegas rosa”. Più di sessanta le “ceremonias exprés” previste prima del fatidico 20 novembre, mentre finora, dal 2005 ad oggi, nella sala consiliare di Jun, erano state celebrate solo 11 nozze gay. La metà dei matrimoni si svolgono in questo fine settimana, con la presenza degli sposi in municipio. Il resto – ed è un’altra novità assoluta architettata dal sindaco – avverrà in videoconferenza.

Qualunque stratagemma va bene, pur di bruciare i tempi. Perché il timore degli omosessuali spagnoli è che, a partire dalla prossima settimana, tutto possa diventare molto più complicato. Nessuno dimentica che, nel 2005, il Pp non solo votò in Parlamento contro la legge, ma subito dopo – mentre i vescovi portavano in piazza la rabbia dei cattolici ultraconservatori – presentò anche un ricorso al Tribunale costituzionale. Che, sei anni più tardi, non ha ancora emesso il proprio verdetto. Resta da capire, nel caso in cui la norma dovesse essere abrogata, se verrà annullata anche la validità delle 24 mila nozze celebrate finora. Ma, forse, gli spagnoli stenterebbero a capire: i sondaggi dicono che il 70 % sono favorevoli al matrimonio gay.

da Il Fatto Quotidiano del 13 novembre 2011

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