Sulla carta gestiva progetti nobilissimi: l’auto elettrica, l’edificio ecologico, la sicurezza dei pedoni, fino a un “sistema di navigazione urbana per gli ipovedenti”. Ma la Zincar srl, controllata dal Comune di Milano, non li realizzava mai, o consegnava una minima parte di quanto promesso. Nel frattempo distribuiva milioni di euro a consulenti e fornitori, spesso senza pezze giustificative delle loro prestazioni o per acquistare beni che nulla avevano a che fare con la commessa in corso per conto del Comune retto da Letizia Moratti. E tra i benficiati spuntano nomi noti: Massimo Bernardo, fratello di Maurizio, deputato del Pdl ed ex assessore regionale lombardo, e Damiana Bernardo, che non è parente del deputato, ma è compagna e socia di Fabrizio Ghioni, condannato per il dossieraggio del Tiger Team che faceva capo a Giuliano Tavaroli in Pirelli-Telecom.

E’ la ricostruzione contenuta nell’avviso di chiusura indagini dei pm milanesi Alfredo Robledo e Giovanni Polizzi, che ricostruiscono la “gestione dissoluta e irrazionale” – così la definiscono – che ha portato al fallimento della Zincar. I vertici della società avrebbero truccato i conti per 16 milioni 842 mila euro, gonfiando gli “stati di avanzamento dei lavori relativi alle commesse ricevute dal Comune di Milano”. E ottenevano così dall’ente pubblico “la corresponsione di acconti calcolati su opere e attività non compiute”, occultando le perdite reali, fino al tracollo. Tra gli indagati figurano il direttore generale Francesco Baldanzi, l’amministratore unico Antonio Bardeschi, due dirigenti del Comune di Milano, Mario Grippa e Giuseppe Cozza, e Donato Liviero, amministratore di fatto della Poliarkes srl, una delle aziende fornitrici. Alla Ap&B, società di comunicazione controllata da Massimo Bernardo, sono arrivati contratti per 140 mila euro, secondo i conteggi dell’accusa.

Lo scandalo, scoppiato nel 2009, aveva coinvolto anche Vincenzo Giudice, presidente di Zincar nonché ex presidente del Consiglio comunale di Milano, sempre per il Pdl, poi uscito dall’inchiesta. Le carte raccontano una decina di casi di sperpero di denaro pubblico. Come il progetto per la realizzazione di dieci colonnine per il rifornimento dei veicoli elettrici, costato oltre 340 mila euro a fronte della consegna di due soli impianti “peraltro mai installati”. Stessa sorte per un erogatore di idrogeno da impiantare all’Università Bicocca, che non ha mai visto la luce dopo aver bruciato quasi quattro milioni di euro (di cui 46 mila alla società di Massimo Bernardo).

La Zincar cura anche  diversi progetti sulla sicurezza stradale (per i quali alla Ap&B di Bernardo vanno oltre 50 mila euro), problema che a Milano si manifesta in modo tragico, con frequenti incidenti che falciano pedoni, cicilisti, motociclisti, automobilisti. Risultato: studi e analisi affidati ai soliti fornitori “senza alcun documento o giustificazione dell’attività svolta”. E l’annunciato “Centro permenente per la sicurezza urbana”, una commessa da 680 mila euro, si risolve con la consegna di “un simulatore di guida, peraltro di modesto valore”, notano i pm Robledo e Polizzi, e niente più. Alla E-Pegasus srl di Mario Jesi e Damiana Bernardo, la compagna di Ghioni, vanno 282 mila euro.

Il denaro pubblico si disperde nei rivoli più disparati. Dovendo procedere alla realizzazione di un Centro operativo protezione civile, Zincar dà 25 mila euro alla società Edipol per “prestazioni estranee alla commessa”, vale a dire “realizzazione di servizi giornalistici relativi al meeting interregionale per la polizia municipale del Mezzogiorno”. Alla fine al Comune di Milano arriva soltanto un automezzo, “poi donato alla città dell’Aquila”. Neppure la meritoria intenzione di “facilitare la mobilità degli utenti con ridotte o assenti capacità visive” si sottrae al sistema. Il Comune mette a disposizione 400 mila euro, che finiscono in loghi e pubblicità non legate all’iniziativa (60 mila euro), in una relazione progettuale “sostanzialmente identica a precedenti studi già svolti dal Comune di Milano” e in una consulenza (35 mila euro) di cui i magistrati non hanno più trovato traccia.

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