Succede che mi trovi alla festa inaugurale del Festival del Cinema di Roma. Da vedere c’è il film su Aung San Suu Kyi (che ho sentito chiamare su un’emittente radiofonica nazionale “Sansouci” col chiaro intento di declinarne il nome alla francese) e dunque ne vale la pena. L’occasione è ottima per lanciare uno sguardo sullo stato dell’umore di molti più o meno boiardi di Stato, più annessi e connessi.

Incrocio Patrizia Pellegrino di cui avevo francamente perso le tracce (e non mi mancava, ma questo è un altro discorso), compressa in un abito lungo bianco effetto nude look che firma autografi: e mi chiedo chi sia che può allungare un mano per chiedere l’autografo a Patrizia Pellegrino.

Ecco Paolo Garimberti, il presidente della Rai che poche ore prima aveva ammesso (ammesso!) che esiste un problema Tg3: è incupito ma poi penso che è difficile distinguere, dalla sua espressione facciale, quando è di buon umore e quando no.

Ecco Gianni Letta che saluta tutti e soprattutto manda bacini a tutti e forse a nessuno: e non riesco ad allontanare il pensiero che questa cosa lavitoliana di mandare bacini a tutti mi fa orrore e se dovessi sublimare “un” gesto di questi nostri tristi anni non sceglierei il dito medio di Bossi e nemmeno lo sguardo lubrico di B; ma piuttosto i bacini che si mandano a tutti con il risultato di svuotare di significato pure un bacio senza lingua dopo un aver svuotato di significato una lingua intera.

Poi scorgo, dietro la figura statuaria e (almeno lei, spero) sincera di Luisa Ranieri, un’altra figura, solitaria, allungata e un po’ ingobbita che percorre il red carpet nell’indifferenza generale. E’ Piero Fassino. Che forse non sarebbe una notizia: un personaggio politico di levatura nazionale che prende parte alla festa inagurale etc etc. Se non fosse che io sono torinese e lui pure, è che lui di Torino è il sindaco. E soprattutto che è giovedì.

La domanda mi sorge spontanea, insopprimibile: che ci fa il sindaco di Torino il giovedì sera solitario a Roma a vedersi un film? Non aveva forse detto che avrebbe spostato il baricentro sella sua vita a Torino abbandonando dunque la politica romana? Fassino si è dimesso da deputato, certo, e di questo gli va dato atto con grande rispetto. Ma non aveva proprio nulla da fare nella scalcagnata mia Torino?

Magari sono tecnicamente fascista (come D’Alema definisce Il Fatto Quotidiano) e non me ne rendeo conto: ma il buon Fassino altrimenti detto “Abbiamounabanca” proprio non aveva una sezione del Pd da visitare, un’associazione di giocatori di scopone cui dare conforto, una riunione di circoscrizione dove tentare di capire come organizzare le festa dell’uva pur non avendo più un centesimo? E il se il compito era di rappresentare il Pd, possibile che a Roma non ci fosse personaggio alcuno disponibile? Chissà.

Resta quel sottile senso di disagio che prosegue quando lo vedo dialogare con Garimberti, sempre rabbuiato, e salutare amabilmente la Polverini. Poi si spengono le luci e inizia il film sulla dissidente birmana e capisco: forse era inviato a rappresentare la sinistra (…) italiana alla prima di un film su una grande “difensora” dei diritti umani. Che tra l’altro non ha neppure comprato una banca.

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