Dall’Irlanda alla Romania, dalla Germania alla Spagna, i giovani hanno lo stesso problema: non trovano lavoro e si sentono proporre tirocini. Sembra infatti che avere nel cv qualche stage sia ormai indispensabile, e la formazione da “continua” si stia pericolosamente trasformando in “perpetua”. Da un sondaggio presentato a Bruxelles emerge che i problemi degli interns, i tirocinanti, sono comuni alla maggior parte dei ventenni europei: e se l’Italia è messa peggio, specie perché i suoi stagisti sono molto più vecchi, anche gli altri non se la passano così bene.

La pietra della discordia è sempre il rimborso spese, che poche organizzazioni (sia nel privato sia nel pubblico) sono disponibili a erogare. La metà degli stagisti infatti non prende un euro, e l’altra metà fa i conti con compensi che in buona parte dei casi non sono affatto sufficienti per mantenersi. E allora che si fa? Alla vecchia maniera tipica italiana: il 48,5% dei tirocinanti (percentuale che sale a 65% se si considerano solo quelli pagati, ma troppo poco) va a bussare alla porta di mamma e papà. C’è però anche un 26,5% che meritoriamente si mantiene utilizzando risparmi personali, e uno su dieci che addirittura fa un altro lavoro, contemporaneamente allo stage, per portare a casa qualche soldo.

Un altro aspetto significativo è che ben uno stagista su cinque – un’enormità – alla domanda sulla motivazione che lo ha spinto ad effettuare un internship risponde esplicitamente “perché non trovavo lavoro”. Nella migliore delle ipotesi lo stage quindi è diventato un jolly che i giovani si giocano mentre cercano un contratto vero, per non restare con le mani in mano, seguendo il pericoloso concetto del “piuttosto che niente, meglio piuttosto”. Nella peggiore, è diventato un’alternativa al normale impiego subordinato, proposta dai datori di lavoro perché costa e impegna infinitamente meno di un contratto.

Da notare che la reale prospettiva di assunzione al termine dello stage è bassa: 16% secondo questo sondaggio [gli ultimi dati ufficiali italiani, relativi ai soli stage nelle imprese private, riportano una percentuale ancora inferiore: 12,2%], a cui si aggiunge un 18% che afferma che pur non avendo ottenuto un’assunzione ha poi potuto trovare lavoro grazie allo stage, mettendo a frutto le competenze acquisite o il network di conoscenze.

La ricerca, realizzata dallo European Youth Forum – un’organizzazione finanziata dall’Unione europea, composta da under 35 di tutte le nazionalità europee e guidata tra gli altri da un vicepresidente italiano, il 27enne Luca Scarpiello –, è stata presentata al Parlamento europeo sotto l’occhio vigile e soddisfatto della danese Emilie Turunen, la più giovane europarlamentare in carica, che già l’anno scorso era riuscita a far votare all’unanimità una risoluzione sulla necessità di proteggere di più i giovani che si affacciano al mondo del lavoro. Pur non avendo pretese di scientificità, perché effettuata su un campione casuale e non rappresentativo, la survey dello EYF delinea un quadro molto preoccupante. Per proteggere i giovani e dare seguito alla risoluzione del 2010, proprio all’interno del Parlamento Ue è stata costituita una task force: un gruppo di lavoro che lavora alla stesura di una Carta dei diritti dello stagista europea. Là dove i singoli Stati non riescono ad arrivare per tutelare i propri giovani, dunque, arriverà l’Europa.

Il Fatto Quotidiano, 5 ottobre 2011

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