A febbraio, ho partecipato al dibattito della London School of Economics coordinato dal giornalista Fabio Cavalera, tenuto all’interno dell’Italian Week che ha visto anche l’intervento di Antonio Padellaro e Marco Travaglio del Fatto Quotidiano. Il tema: la mafia in Italia. Di fianco al tavolo dei relatori se ne stavano in disparte alcuni prodotti alimentari, pasta, pane, una bottiglia di vino. Non reclamavano grande attenzione, ma sono il frutto di un cambiamento rivoluzionario nella lotta alla mafia in Italia: grazie a due leggi – la 646/82 e la 109/96 – i patrimoni criminali possono essere confiscati e utilizzati per scopi sociali. La 646 toglie ai mafiosi quello cui più tengono, la terra e le case. Grazie alla 109, sui terreni sequestrati sono nate delle cooperative che, senza pagare il pizzo, producono beni venduti in tutto il mondo.

All’inizio non è stato facile, come ha raccontato Francesca Massimino, uno dei fondatori della cooperativa “Placido Rizzotto”, a Elena Ciccarello della rivista Narcomafie. L’azienda nata sulle terre che erano state dei Brusca e dei Riina all’inizio non trovava manodopera. Per la prima raccolta del grano, la cooperativa si vide negare l’uso di una trebbiatrice. “Chi la possedeva temeva ritorsioni, perciò i carabinieri si trovarono costretti a requisire la prima macchina individuata nei dintorni”. Ma in dieci anni l’atmosfera è cambiata e oggi esiste una vasta rete di produttori che operano senza paura, riuniti nel marchio Libera Terra dell’associazione Libera.

Come sono nate la 646 e la 109? Questa rivoluzione ebbe inizio quando il deputato del Pci Pio La Torre depositò il 31 marzo 1980 una proposta di legge che riconosceva il delitto di associazione mafiosa e prevedeva la confisca dei beni accumulati grazie all’appartenenza a Cosa Nostra. La Torre ripeteva in maniera ossessiva ai suoi compagni e in Parlamento: “Bisogna togliere ‘i piccioli’ alla mafia”. Eppure il progetto si insabbiò in Parlamento per più di due anni. “Mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici”, disse il cardinale di Palermo ai funerali del Generale Alberto Dalla Chiesa, il 5 settembre 1982. Quella strage svegliò le coscienze e la 646 passò dopo pochi giorni. La normativa che prevede il riutilizzo sociale dei beni sequestrati dovette invece attendere la primavera del 1995, quando Don Luigi Ciotti, Narcomafie e Libera raccolsero un milione di firme per una legge di iniziativa popolare. Si era agli sgoccioli della XII legislatura. A Camere già sciolte, la legge fu approvata il 28 febbraio del 1996 dalla Commissione Giustizia al Senato.

Il promotore della 646 non fece in tempo ad assistere a questi sviluppi. Il 30 aprile 1982, si stava recando al lavoro a bordo di una Fiat 132. Il lunedì di Pasqua del 1982 lo aveva passato con un amico fraterno, Emanuele, a cui disse: “C’è un progetto, ora tocca a uno di noi”. Quella mattina era sul sedile posteriore, intento a leggere delle carte. Guidava l’auto Rosario di Salvo, un giovane barese che viveva a Palermo da molti anni. Poco prima, sulla stessa macchina, aveva accompagnato le figlie a scuola. Alle nove e venti sono imbottigliati in via Turba, un budello a poche centinaia di metri dalla Federazione del Partito Comunista. Rosario è armato. Una Honda 650 obbliga il conducente a fermarsi. All’improvviso cominciano a volare i proiettili. Da un’auto scendono due uomini che scaricano i loro mitragliatori Thompson in direzione della 132. Di Salvo riesce ad estrarre la pistola e spara. Contro i suoi assassini, Pio La Torre si difende a calci e grida: “Vigliacchi”. Il telegiornale della sera mostra una gamba penzolante dal finestrino, due corpi e una piccola folla che piange.

Oggi sappiamo che l’omicidio di Pio La Torre fu ordinato dalla Commissione provinciale di Cosa Nostra. Nel 1992, il pentito Leonardo Messina rivelò che l’uomo politico fu ucciso proprio perché autore della legge che permetteva di confiscare i patrimoni mafiosi. Quei prodotti della terra sono la sua battaglia vinta contro la mafia.

di Federico Varese, professore di Criminologia all’Università di Oxford e autore di Mafie in Movimento, Einaudi 2011

Articolo Precedente

Manifesti anti-pm, richiesta a Alfano di autorizzazione a procedere per Lassini

next
Articolo Successivo

La mozzarella della legalità

next