La protesta in Siria non si placa. All’indomani delle manifestazioni anti-regime represse nel sangue, oggi migliaia di persone sono tornate in piazza. A Tafas, un piccolo centro nei pressi di Daraa, la città nel sud del Paese teatro degli scontri dei giorni scorsi, è stato preso d’assalto e dato alle fiamme un edificio del Baath, il partito del presidente  Bashar al-Assad, e una stazione di polizia. Centinaia di manifestanti si sono radunati oggi nuovamente nella piazza principale di Daraa, la città epicentro delle proteste senza precedenti nel sud del Paese, scandendo slogano che inneggiano alla “libertà”. A fuoco la sede locale del partito Baath anche a Latakia, dove in serata l’esercito è entrato in modo massiccio. Oggi a Latakia, che è il principale porto a nord-ovest di Damasco e il capoluogo della regione alawita a cui appartiene il clan degli Assad al potere da quarant’anni, la polizia siriana e ignoti hanno aperto il fuoco in maniera casuale contro i residenti. I morti, secondo gli attivisti, sono sette.

A rilanciare la protesta è stato un appello su Facebook alla ”rivolta popolare” in tutte le province siriane. “Oggi, sabato, rivolta popolare in tutti i governatorati siriani”, è scritto nel testo, che contiene un’espressione popolare araba intraducibile impiegata dagli insorti siriani che lottarono contro il mandato francese. Siria, Yemen e Giordania sono i nuovi Paesi caldi del mondo arabo, dopo che dimostrazioni e violente repressioni hanno già avuto luogo in Tunisia, Algeria, Egitto, Libia e Bahrein.

Secondo un dirigente siriano, nelle dimostrazioni anti-regime di ieri hanno perso la vita 13 persone, fra cui due vigili del fuoco e un impiegato uccisi dai manifestanti, mentre il bilancio delle organizzazioni per la tutela dei diritti umani è di almeno 25 morti. Le proteste di piazza sono proseguite ieri a Daraa, epicentro della rivolta, dove decine di persone sono morte dal 18 marzo, e si sono estese alla capitale Damasco e alle città di Sanamein, Daeel, Duma, Banias e Hama. Ancora più grave il bilancio delle vittime da quando sono iniziate le proteste: fonti mediche di Daraa hanno affermato alla tv panaraba al Jazeera che più di 150 persone sono state uccise nel sud della Siria in sette giorni di repressione da parte delle forze di sicurezza.

Dopo la sanguinosa giornata di ieri, le autorità hanno liberato oltre 200 prigionieri politici dal carcere di Sednaya, per lo più islamisti. Lo ha affermato l’Osservatorio siriano per i diritti umani basato a Londra, ma il governo siriano non conferma la notizia. “Non ne so nulla e credo che le cifre riguardanti questo tipo di detenuti siano esagerate”, ha affermato Buthayna Shaaban, consigliere del presidente, intervistata dal canale tv della Bbc in lingua araba. Per placare le proteste il presidente Bashar al-Assad, nei giorni scorsi, ha anche dato ordine a una speciale commissione di preparare un piano di riforme, tra cui l’intervento contro la corruzione, l’innalzamento dei salari dei dipendenti pubblici, la distribuzione di sussidi in ambito sanitario e la creazione di nuovi posti di lavoro per i giovani.

Sugli avvenimenti in Siria è oggi intervenuto l’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Navi Pillay, che ha chiesto a Damasco di “imparare la lezione dai recenti avvenimenti in Medioriente e in Nord Africa, che hanno dimostrato chiaramente come la repressione violenta di manifestazioni pacifiche non solo non risolve la discesa in piazza della popolazione, ma rischia di creare una spirale di rabbia, violenza, omicidi e caos”. In un comunicato, Pillay aggiunge che “il popolo siriano non è diverso da altri popoli nella regione. Vogliono avere quei diritti umani fondamentali che gli sono stati negati per molto tempo”.

L’alto rappresentante della politica estera della Ue, Catherine Ashton, ha chiesto la cessazione “immediata” delle violenze in Siria, dicendosi “scioccata” per la “brutale” risposta del governo di Damasco alle manifestazioni. La Ashton ha anche lanciato un appello alle autorità siriane affinché vengano soddisfatte “le legittime aspirazioni del popolo attraverso il dialogo e le riforme politiche e socio economiche”. Forte preoccupazione per l’escalation di violenza è stata espressa dalla Farnesina, secondo cui “l’Italia segue da vicino, insieme ai partner europei, la situazione, condannando ogni forma di violenza” e “la cessazione delle repressioni violente delle manifestazioni” e l’adozione da parte del governo di Damasco delle riforme annunciate e attese dalla popolazione.

Articolo Precedente

Un appello dai combattenti libici

next
Articolo Successivo

Perché il Giornale pubblica Gheddafi?

next