Ogni volta che si vedono turbe nelle strade di un paese islamico, in Occidente scatta il riflesso condizionato acquisito nel 1979 quando in Iran prese il potere Khomeini. L’opinione pubblica occidentale va in fibrillazione perché l’opposizione, talora violenta, ai despoti e ai cleptocrati mediorientali, ha connotati marcatamente religiosi, il che, dopo l’isteria sugli scontri di civiltà, giustifica qualche brivido lungo la schiena. In Algeria, in Palestina, in Egitto, in Siria, in Giordania, nel Bahrain ecc. , sono proprio partiti religiosi (spesso clandestini e costantmente perseguitati) ad opporsi allo status quo e in qualche caso a vincere le elezioni.

Questo fenomeno però ha una spiegazione meno sinistra e più logica di quanto si immagini. L’analogia non è con l’Iran, bensì con la Polonia di Solidarnosc. In Polonia l’opposizione ai comunisti era ispirata e si appoggiava alla Chiesa, perché il regime era riluttante a perseguitare preti e parrocchie che mantenevano da secoli una presa sulle coscienze. Le sagrestie divennero il refugium sia dei credenti che degli anticomunisti senza particolare afflato religioso.

Nel mondo arabo, come nella Polonia comunista, le forme di associazione e di riunione pubbliche tollerate sono legate alle attività religiose, e quindi si fa di necessità virtù. Tra l’altro nel Medio Oriente molti governanti e sovrani si dichiarano devoti (a differenza dei comunisti polacchi) quindi non oltrepassano certi limiti nella repressione dei capi religiosi a meno che non avvertano una diretta minaccia al proprio potere. In questo modo tengono vive anche le paure degli occidentali.

In buona approssimazione gli Iman sono gli unici personaggi pubblici relativamente liberi di parlare e di scagliare critiche non troppo velate ai responsabili delle miserie quotidiane, aiutati dalla repressione sistematica di tutte le forze politiche liberali o di sinistra che ha eliminato potenziali concorrenti. Non a caso i Fratelli Musulmani in Egitto non hanno mai protestato per gli arresti dei leader di opposizione non religiosa.

L’Egitto non è l’Iran. Per fortuna in Egitto è emerso un leader abbastanza popolare come Al Baradei e vi sono altri personaggi (Amr Moussa, Segretario della Lega Araba, il giudice Yahya al-Jamal, senza dimenticare l’outsider Wael Ghonim) e quindi c’è da sperare che le pulsioni fondamentaliste non prevalgano. Al Baradei, che al momento fa il vezzoso e nega ambizioni presidenziali (ma se proprio me lo dovessero chiedere…),  ha iniziato coraggiosamente a dare calci negli stinchi a Mubarak da un anno ed è lui che ha realizzato la saldatura tra i blogger e i vari gruppi di opposizione politica non islamica. Il New York Times ha pubblicato un affascinate reportage sulla storia di questo movimento, le tecniche di resistenza passiva e il proselitismo via internet.

I Fratelli Musulmani e i partiti religiosi sono stati colti alla sprovvista e non hanno nemmeno partecipato né alla fase organizzativa, né alle prime proteste di piazza, guidate da professionisti spesso con esperienze di vita e lavoro all’estero (estranei a barbe e turbanti). Questa è la differenza tra l’Egitto del 2011 e l’Iran del 1979. In Iran furono le popolazioni religiose rurali e gli emarginati urbani a tirare la volata a Khomeini e poi a sostenere la soppressione di tutte le forme di dissenso interno. Inoltre oggi nel mondo arabo c’è Al Jazeera che ha rotto gli argini dell’informazione paludata (Fede e Minzolini all’ennesima potenza) e ha indotto una mutazione inimmaginabile nelle coscienze dei telespettatori.

Ma anche se i partiti islamici guadagnassero influenza, va ricordato che al loro interno convivono posizioni che vanno dai tradizionalisti ai modernizzatori. Del resto anche in Italia esiste un selezione variegata di politici religiosi. Vendola è gay, Buttiglione è integralista omofobico, la Binetti veste il cilicio, Casini ha due famiglie, Marino è  laico non omofobico, Formigoni  ha fatto voto di castità, ma non si scandalizza per le serate di Arcore, la Bindi non saprei, fate voi.

Considerazione finale. Le Rivoluzioni trionfano in un tripudio di folla solo nei sogni dei romantici e degli illusi. Basta andare con la memoria alla rivoluzione arancione in Ucraina. La defenestrazione di Mubarak non elimina il potere dei militari che costituiscono uno stato nello Stato, con ramificazioni in ogni settore economico, un po’ come i partiti comunisti nell’Europa del Patto di Varsavia. Sbarazzarsi di Mubarak equivale a sbarazzarsi di Jaruzelski lasciando intatto il potere comunista.

La prossima fase della Primavera Araba sarà caratterizzata dalle contromosse dei militari che, abbandonando Mubarak, hanno orchestrato una ritirata strategica, ma che hanno tutta l’intenzione di raggrupparsi per la controffensiva una volta che, sgombrata Piazza Tahrir, la guardia sarà bassa. La dissoluzione del Parlamento (un simulacro di Parlamento) e la presa di potere da parte della giunta militare è una mossa molto simile all’arrocco in questa partita a scacchi multidimensionale.

Articolo Precedente

Uccidere i dittatori
non serve!

next
Articolo Successivo

Libia, continua la rivolta
Gheddafi: “La reazione sarà violenta”

next