Due strani alleati esultano per il parziale stop alla realizzazioni di nuove centrali nucleari arrivato dalla Consulta. Si chiamano Rodolfo De Benedetti, proprietario di Sorgenia, e Umberto Bossi. Il primo, a differenza del padre Carlo poco interessato al business dell’editoria, è soddisfatto perché ha investito milioni di euro nella società leader per le energie rinnovabili (Sorgenia) e perché rischiava di essere automaticamente escluso dalla partita sul nucleare. Bossi, invece, perché alle centrali è favorevole (non si sa se per convinzione o dovere di amicizia nei confronti di Silvio Berlusconi, non si riesce mai a capire) purché i reattori atomici vengano piazzati lontano dalle Regioni che governa il suo partito. Questo non vuol dire che la politica avviata dall’ex ministro Claudio Scajola, poi proseguita dal successore Paolo Romani, sia sul punto di naufragare. Ma mostra, per l’ennesima volta, la difficoltà del governo a legiferare nei limiti della Costituzione.

Nel gennaio del 2010, quando ancora il governo godeva di una solida maggioranza in parlamento, l’esecutivo sostenne che l’Italia aveva bisogno dell’energia nucleare per liberarsi degli alti costi d’acquisto dall’estero. Così il Consiglio dei ministri varò un decreto poi diventato legge che annullava gli effetti del referendum con il quale gli italiani si era già espressi contro il nucleare. E il governo avrebbe avuto mano libera sul dove e come realizzare le centrali.

Dopo le proteste e gli esposti fatti in Puglia, Toscana ed Emilia Romagna, l’altro giorno la Corte costituzionale si è espressa. Non ha detto deciso niente di particolare, se non che la realizzazione delle centrali deve passare attraverso un parere (non vincolante) delle Regioni competenti. Ma chi si aspettava l’ennesima accusa quei giudici “sovversivi e comunisti” è rimasto deluso. Berlusconi forse non ha avuto neppure il tempo di accorgersi di quello che era appena accaduto, impegnato a trovare una via d’uscita dal Rubygate.

A esultare per quanto deciso dalla Consulta ci hanno pensato il lombardo Roberto Formigoni e il veneto Luca Zaia. Entrambi autorevoli nuclearisti, purché lontano da Milano e Venezia. “Il Veneto è autosufficiente dal punto di vista energetico”, ha detto a caldo Zaia, “e il nostro territorio non è morfologicamente adatto a ospitare nuove centrali. Questo è il parere che io fornirò quando mi verrò richiesto. Ma non sono contrario al nucleare”. Più o meno quanto ribadito da Formigoni, convinto anche lui sulla necessità di nuove centrali “ma non da noi”. Come no, presidente Formigoni? Anche lei va contro il suo partito? “In Lombardia non c’è la necessità, non c’è bisogno in questo momento”. Più prudente il governatore del Piemonte Roberto Cota che dice di restare coerente con la sua scelta nuclearista, ma anche lui sostanzialmente contrario a trovare un posto alle centrali nella sua regione.

Più coerentemente contento Vasco Errani da Bologna: “Il governo è bene che cambi linea. La sentenza della Consulta riconosce infatti il ruolo e la funzione delle Regioni, ribadendo la necessità che rispetto alla localizzazione degli impianti per produrre energia nucleare la Regione e, attraverso di essa, la comunità regionale possano esprimersi con un parere obbligatorio, confermando comunque la necessità di raggiungere poi un’intesa in sede di Conferenza unificata”.

Dove saranno realizzate le centrali rimane un mistero. Toscana, Puglia, Emilia Romagna, Basilicata, Sicilia, Umbria, Sardegna e la Liguria non ne vogliono sentir parlare. Romani che del nucleare ha fatto una missione nel suo dicastero, invita tutti alla ragionevolezza. Non è colpa sua se la legge è stata fatta, come la maggior parte dei provvedimenti firmati del governo targato Pdl-Lega, in modo e maniera che la Consulta si sia trovata a eccepire sulla costituzionalità del provvedimento. Anche perché al tempo c’era Scajola e successivamente lo stesso Berlusconi ha mantenuto a lungo l’interim. Più stizzita è il ministro dell’ambiente Stefania Prestigiacomo, che in quel consiglio dei ministri, quando si è deciso il decreto, c’era: “La Consulta ha confermato e ampliato l’opzione della piena condivisione con i territorio delle scelte per la localizzazione delle centrali. La decisione non mette in discussione la responsabilità finale del governo, ma aggiunge di fatto un parere delle Regioni anche in sede di autorizzazione unica”. “Mi sembra ridicolo – ha detto ancora il ministro – che gli antinuclearisti cantino vittoria. Nessuno ha mai pensato di fare le centrali contro il parere delle comunità. Adesso occorre soltanto andare avanti speditamente mettendo in moto l’ Agenzia per la sicurezza nucleare”.

E la Lega che non vuole le centrali in casa? Non è un problema? No, questo punto non viene neppure preso in considerazione. Certo è che la prospettiva nucleare si allontana (l’inizio dei lavori era previsto per il 2013) e non poco. Il governo al momento ha altre priorità in agenda. Ma per preparare gli italiani, il premier ha fatto ricorso allo strumento comunicativo che conosce meglio: la televisione. Sei milioni di euro se ne sono andati per lo spot che ritrae due attori impegnati in una partita di scacchi, uno contrario al nucleare, l’altro più convinto e convincente. Nel concreto però del nucleare ancora non se ne sa nulla, del resto è il governo del fare.

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