Se la vicenda di Cesare Battisti è uno dei tanti casi internazionali, da noi s’è trasformato in un tormentone ideologico-politico, che rimette in secondo piano fatti ben più rilevanti, come l’inamovibilità di un premier già morto ma ancora insepolto.

Sul caso Battisti il Fatto ha pubblicato pezzi condivisibili, come il post dell’avvocato Marcello Andreozzi Di Battisti e di altri demoni del primo gennaio, e altri molto meno, sui quali preferisco sorvolare, essendo anch’io intervenuto con un mio post del 3 gennaio titolato Lo Smacco.

Il Fatto di domenica 16 ha dedicato un’intera pagina a un appassionato articolo di Antonio Tabucchi Il Tradimento degli Intellettuali, nel quale però lo scrittore nemmeno accenna a un altro, e per me assai più pesante, tradimento dei chierici, relativo al caso Sofri. Ne scrive invece Massimo Fini, nel suo pezzo sul Fatto del 4 gennaio In difesa del Brasile“Nel caso Battisti scontiamo anni di garantismo peloso. Di destra e di sinistra. Da noi esiste un signore, Adriano Sofri, che è stato condannato a 22 anni di reclusione per l’assassinio (…) di un commissario di polizia, dopo nove processi, di cui uno, caso rarissimo in Italia, di revisione, avendo quindi goduto del massimo di garanzie che uno Stato può offrire a un suo cittadino. Eppure Sofri ha scontato solo sette anni di carcere (…) ed è libero da tempo, e scrive su (…) la Repubblica e su (…) Panorama e da quelle colonne lui ci fa (…) la morale ed è onorato e omaggiato dall’intera intellighenzia che (…) lo ritiene a priori e per diritto divino, innocente”.

Nel suo articolo Tabucchi, dopo una carrellata sugli intricati aspetti del caso Battisti, commette alcuni errori di valutazione. Perché se è vero che la magistratura italiana ha pagato anche con la morte la sua dedizione e il suo coraggio, è pur vero che è una delle più lente del mondo. Come dimostrano le condanne a scadenza annuale della commissione europea, che puntualmente rimprovera alla nostra magistratura una lentezza inconcepibile in un paese avanzato.

Antonio Tabucchi attacca anche tre star del firmamento intellettuale francese, e cioè Bernard-Henry Lévi, al quale rimprovera “convinzioni che si basano soprattutto sulle proprie convinzioni”. Mentre a madame Fred Vargas, contesta di criticare “le leggi sui collaboratori di giustizia del sistema italiano”. Infine, a Philippe Sollers, Tabucchi, dopo aver condensato il punto di vista dell’intellettuale francese, su Battisti così conclude: “Ci potrà essere un perdono giuridico, ma prima la verità storica deve venire alla luce: gli italiani sanno ancora troppo poco”. Come dire, prima facciamo luce su tutti i misteri d’Italia, poi potremmo eventualmente perdonare Cesare Battisti. Dato il numero di misteri italiani insoluti, praticamente quasi tutti, lasciamo pure che Battisti marcisca negli orrendi meandri del sistema penitenziale italiano.

“Su Battisti non ci siamo fatti capire”, ha dichiarato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. “Ma sarebbe utile cercare di capire il perché”, propone Eric Jozsef, corrispondente di Liberation. “E’ mancato qualcosa”, ribadisce il presidente Napolitano. “E’ mancata, soprattutto, l’apertura degli archivi per fare luce sulle stragi – conclude Eric Jozsef su l’Internazionale n. 880 – è mancato un lavoro storico per ricostruire e contestualizzare gli anni di piombo, scatenando passioni e incomprensioni che vanno ben oltre il caso Battisti”.

Conoscendo abbastanza il Brasile, avendoci vissuto per più di un lustro, ricordo che la dittatura militare si concluse con una anistia ampla, geral e irrestrita, cioè un’amnistia ampia, generale e non ristretta, allargata sia ai torturatori sia ai così/detti terroristi. Mentre da noi, coi tempi giudiziari correnti, Cesare Battisti, nel caso della sua estradizione, potrebbe non intravedere nemmeno la fine del suo quasi trentennale tormento.

Articolo Precedente

Sempre che non salti l’udienza

next
Articolo Successivo

Berlusconi, dai letti alle stragi

next