La procura di Milano nella persona di Ilda Boccassini e dei colleghi Forno e Sangermano ha invitato il presidente del Consiglio a presentarsi come indagato per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile in una data a sua scelta tra il 21 e il 23 gennaio ed è intenzionata a procedere con rito immediato sulla base di “prove evidenti”. L’atto è stato notificato all’interessato che è indagato dal 21 dicembre, presumibilmente per valutazioni di mera opportunità, all’indomani della pronuncia della Corte Costituzionale che con una sentenza a larghissima maggioranza ha, se così si può dire, serenamente e pacatamente disarticolato l’ennesima legge ritagliata sulle esigenze processuali del premier riportandola nell’alveo costituzionale dell’articolo 420 ter c.p.p. che regola appunto l’ “impedimento a comparire dell’imputato o del difensore”.

Dunque al giorno della pronuncia sull’ennesima legge ad personam che ha fatto una fine analoga alle precedenti, annunciato con eccesso di enfasi e di forzature spesso a fine intimidatorio come una specie di dies irae sulla legislatura e sul Palazzo, ne è seguito un altro che in qualsiasi paese normale significherebbe una sola cosa: dimissioni immediate del presidente del Consiglio, qualora non le avesse rassegnate nello stesso momento in cui le agenzie battevano la notizia delle sue pressioni sulla questura di Milano per il rilascio della “nipotina di Mubarak”.

Quello che doveva essere solo il giorno dopo la sentenza che gli ha invalidato lo scudo, Berlusconi l’ha iniziato “in sordina” a Mattino5, facendo per una volta molta attenzione a distinguere il comportamento dei giudici costituzionali “il verdetto riconosce l’impianto della legge voluta dai miei collaboratori e riconosce la giustezza dell’impedimento di chi governa”, da quello dei pm che mettono in piedi contro di lui “processi assolutamente inventati, ridicoli, grotteschi...” E poi la solita litania dei giuramenti sulla testa di figli e nipoti e l’avvertimento-minaccia rituale “non si possono trovare giudici che oseranno dare una condanna su fatti che non esistono”.

Il discorso della sera ai suoi dopo la notificazione dell’ordine di comparizione e una giornata scandita dalle denunce fotocopia del suo entourage contro la destabilizzazione per via giudiziaria, il sovvertimento dei poteri, la persecuzione ad orologeria ecc, sembra invece il richiamo alla mobilitazione elettorale da imputato perseguitato per “il reato di invito a cena a casa del presidente del Consiglio”. Ma non c’è solo la “boutade” sui magistrati invidiosi per i mancati inviti ad Arcore e l’impazienza di difendersi finalmente in tribunale da accuse tanto ridicole: c’è la dichiarazione di guerra contro quella parte della magistratura che l’ha voluto eliminare con ogni mezzo e “non ha mai pagato dazio” (finora); contro i pm che “per ricominciare non hanno aspettato nemmeno una settimana”, che pur essendo incompetenti lo indagano “nel tentativo di sovvertire le regole della democrazia”. La conclusione è che bisogna “intervenire con urgenza per evitare che ancora una volta i magistrati possano violare la privacy del presidente del Consiglio” con ulteriore discredito per il paese.

In una giornata di ordinaria guerra permanente alle istituzioni, uguale o peggiore delle molte di cui siamo stati testimoni e forse meno eversiva delle tante che verranno di qui al voto, non stupisce più di tanto la performance consolidata dell’inquisito per reati molto pesanti e questa volta di percezione più immediata e forse, data ormai l’assuefazione, nemmeno il silenzio di una opposizione succube in preda al timore e tremore da elezioni più vicine.

E’ una gara a quietare e sopire la gravità di un comportamento che evidentemente secondo i magistrati è andato ben oltre l’abuso di potere che era emerso da subito nelle telefonate di “interessamento” alla questura di Milano nella notte del molto atipico affido alla provvidenziale Nicole Minetti, anche lei inquisita per induzione alla prostituzione minorile insieme al duo Fede-Mora. La concussione, sorvolando sul resto, è dopo la corruzione in atti giudiziari il reato più grave contro la pubblica amministrazione e dunque uno dei più infamanti per una alta carica dello Stato, ma i sedicenti rappresentanti dell’opposizione con l’eccezione dell’Idv, ribadiscono ogni volta che aprono la bocca, che mai e poi mai vogliono mischiare la politica con le vicende giudiziarie. Invece quello che appassiona è il refrain della giustizia ad orologeria ed il puntare il dito non solo da parte dei berluscones di fede ostentata sul “tempismo” della procura di Milano che forse, con minore “sensibilità istituzionale” avrebbe potuto notificare al premier l’ordine di comparizione magari il giorno prima della sentenza della Corte Costituzionale, per movimentare ulteriormente la situazione.

Stando al direttore del giornale di riferimento dei Democratici, Europa, il fatto che nessuno dall’opposizione “attacchi” il premier e voglia infierire sulle sue imputazioni va interpretata come “correttezza” politica e poi come conferma che “grazie a Dio si è molto indebolito in Parlamento il partito dei giudici”. E, si è dimenticato di aggiungere il sagace Menichini, aiuta bene a far capire dove è arrivato il Pd e perché.

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