Più che un invito è un ordine di servizio: vietato schierarsi con l’uno o l’altro candidato, questo vale per le elezioni comunali a primavera, ma anche per le primarie interne ai partiti (il Pd) o nei pubblici dibattiti. A scrivere, nero su bianco, a tutti i sacerdoti della diocesi di Bologna, con un piglio autoritario e quantomeno singolare, è l’arcivescovo di Bologna, il cardinal Carlo Caffarra, cresciuto all’ombra di don Giussani, vicino a Comunione e liberazione oltre a essere uno dei più fidati collaboratori di papa Ratzinger. “Noi sacerdoti – scrive Caffarra sul supplemento domenicale di Avvenire – dobbiamo rimanere completamente fuori dal dibattito e dall’impegno politico pre-elettorale, astenendoci assolutamente dall’appoggiare qualsiasi partito o schieramento politico o candidato sindaco. Questa esigenza è fondata sulla natura stessa del nostro ministero. E’ inammissibile che un sacerdote sostenga politicamente una parte politica o un candidato sindaco e tanto più che organizzi o partecipi a manifestazioni di sostegno”.

Il cardinale Caffarra estende il proprio veto anche all’uso di locali parrocchiali e di altri enti ecclesiastici da parte di rappresentanti di qualsiasi partito, anche per incontri che rispettino la par condicio. Accesso vietato in locali di proprietà della chiesa anche a persone con incarichi istituzionali di qualsiasi genere per qualsiasi iniziativa che contempli il sostegno diretto o indiretto alla campagna elettorale di una parte politica o di un candidato sindaco. Vietatissimi nell’ambito delle parrocchie ogni volantinaggio elettorale, l’affissione di manifesti, e ogni altra forma di propaganda. Un “no” deciso anche all’utilizzo, a fini elettorali, di qualsiasi mezzo di comunicazione religioso, compresi i bollettini parrocchiali. Comprensibile lo stupore che ha avvolto la città al risveglio del Capodanno. Perché la lunga lettera non ha precedenti, almeno a Bologna, e soprattutto perché tutti sanno bene che una non scelta esternata, a volte, dal punto di vista politico, ha molto più peso della scelta.

Le istituzioni forti (Comune, chiesa e rettorato) hanno sempre dialogato, ma a una ragionevole distanza e sempre nel rispetto dei confini. Una delle penne più autorevoli di Bologna, Michele Smargiassi di Repubblica, su questo costruì un memorabile pezzo sulla Yalta delle Due Torri: “ll sindaco Renzo Imbeni, l’arcivescovo Giacomo Biffi, il rettore Fabio Alberto Roversi Monaco: frugando negli archivi di redazione non si trova un solo momento in cui la trojka che per quasi un decennio resse le sorti della città si sia offerta in tutto il suo splendore agli sguardi dei bolognesi. Ma questa discrezione nell’immagine non deve ingannare: se la fine degli anni Ottanta e gli inizi dei Novanta sono stati per Bologna il decennio della stabilità, per non dire dell’immobilità, a volte virtuosa a volte melassosa, lo si deve alla perfetta, sincronica complementarità di quelle tre personalità così imponenti, perfino ingombranti; alla tacita ma ferrea divisione delle reciproche sfere d’ influenza che non ebbe bisogno di una conferenza per assegnarsi le giuste misure, per tracciare i confini insuperabili dei reciproci territori. La spartizione di Bologna avvenne tacitamente, naturalmente, perfettamente. Occasionali scintille, ben soffocate, non incendiarono mai il pagliaio. Una pax romana che forse la città pagò al prezzo di una mancanza di dinamismo, dialogo esplicito e coraggio di rischiare. Ma certo era almeno per noi, cronisti della vita pubblica, una Bologna molto più chiara e leggibile di quella post-ideologica che l’ avrebbe rimpiazzata alcuni anni dopo”.

Ecco perché la lettera di Caffarra ha un valore simbolicamente storico. Il cardinale scrive e non possiamo non pensare che le sue parole si rivolgano soprattutto ai timori che parte della Curia possa in qualche modo pensare al nome di Amelia Frascaroli, civica in corsa alle primarie del Pd, una donna che ha lavorato nel volontariato e per sedici anni è stata ai vertici della Caritas. Stimata in alcuni ambienti della Chiesa, Frascaroli, è anche però appoggiata dai comunisti di Rifondazione, dei Comunisti italiani e, soprattutto da Nichi Vendola. Questo, ovvio, se vogliamo sbilanciarci nel leggere le parole dell’arcivescovo, è un handicap non indifferente, almeno per gli ambienti ecclesiastici. Nessuno può dimenticare che il cardinal Caffarra prese una posizione forte, due anni fa, quando il parroco di San Bartolomeo della Beverara, don Nildo Pirani, decise di affittare una sala di proprietà della parrocchia al coro Komos, composto da tutti uomini e, unico in Italia, dichiaratamente gay. Il parroco si limitò a dire, giustificandosi, che “catare è un dono di Dio”. Ma l’arcivescovo non la prese bene e i Komos si trovarono senza sala prove. In una lettera a don Nildo, l’arcivescovo fece riferimento a una lettera che la Congregazione rivolse nel 1986, a firma di Ratzinger, a tutti i vescovi “sulla cura pastorale delle persone omosessuali”. Lo sfratto per il coro gay fu immediatamente esecutivo.

Ma c’è anche un riferimento più recente, e questa volta riguarda un sacerdote, don Giovanni Nicolini, monaco dossettiano che a Bologna, dove è parroco della Dozza, è ascoltato e ricordato per le sue posizioni contro la giunta di Cofferati. Proprio alcuni giorni fa Nicolini, ha partecipato a un incontro sul tema della laicità nel salotto di Amelia Frascaroli, appunto, della quale, da ex direttore della Caritas, ne parla bene. La lettera del cardinale e l’incontro di don Nicolini, ovviamente, non sono considerati un caso. E così, quei confini stabiliti da Biffi, oggi sono stati superati. Segno dei tempi che cambiano, certo, ma anche di una Bologna che, appunto, dal punto di vista politico, è sempre più difficile da leggere.

di Emiliano Liuzzi

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