Tre i capisaldi della Conferenza di Bretton Woods: fu fondato il Fondo monetario internazionale (Fmi), fu creata la Banca internazionale per la Ricostruzione e lo sviluppo e fu fissato il Gold exchange standard per un sistema di scambi monetari il più possibile stabile e agganciato al dollaro, il quale, a sua volta, veniva agganciato al valore dell’oro: potevi avere un’oncia di oro in cambio di 35 dollari di carta.

Dal ’44 in poi si succedettero molte presidenze degli Stati Uniti e si ebbero politiche di varia natura a fronte di diversi problemi, ma fu sempre osservato un sacro rispetto dei patti di Bretton Woods. La gestione americana fu molto oculata e attenta a non stampare dollari/carta. Nonostante questo, l’attenta gestione in 27 anni (1944-1971), gli Usa misero sul mercato ben 12mila tonnellate di oro fino.

Le pubbliche amministrazioni potevano usare solo quegli incrementi di ricchezza in arrivo dalla economia produttiva reale: ogni immissione di denaro proveniente dalla finanza era a somma zero. Non solo, nel 1933 gli Stati Uniti avevano emesso una legge molto importante, valida e severa (la Glass-Steagal Act) che divideva il mondo bancario in due grandi gruppi: quello delle Banche di investimento o d’affari e quello delle Banche commerciali di risparmio. Obiettivo, tagliare l’erba sotto i piedi della speculazione finanziaria: le Banche d’affari non potevano fare raccolta di risparmi, le Banche commerciali potevano raccogliere il risparmio, ma non potevano fare operazioni finanziarie speculative.

Poi venne il Vietnam. Il 15 agosto 1971 il presidente Richard Nixon dichiara decaduto l’impegno americano a mantenere la parità dollari/oro: una decisione epocale. Fine del Gold Exchange Standard. Nixon fu costretto a prendere tale decisione. La guerra del Vietnam (disastrosa) era finita (30 aprile 1975 con la caduta di Saigon): oltre la débâcle morale restavano i debiti contratti dal governo americano per una guerra che – pochi se ne rendono ancora conto – bruciava circa 30 milioni di tonnellate di acciaio l’anno (due volte la produzione – allora – dell’Italia) e che, come tale, rappresentava una forte droga per economia-mondo dell’epoca. Le grandi società di armamenti reclamavano i pagamenti, ma il flusso di ordini di produzione e ricerca verso queste società si era arrestato. La liquidità era finita: bisognava stampare carta/dollari.

E’ così che scoppiò la crisi.

In breve accadde questo: il grande capitale internazionale (Rotschild, Rockefeller, J.P.Morgan, le BIG-Banks, ecc.) proposero al presidente a Nixon di utilizzare l’oro tenuto a Fort Knox come garanzia verso i debitori, i quali in cambio avrebbero fornito liquidità. A Londra, il vero centro finanziario mondiale, il cosiddetto ‘denaro a credito’ viene denominato con una locuzione curiosa, ma centratissima: ‘thin air’, ossia ‘aria fina’: denaro che non c’è. In quel momento fu come se la Banca si sostituisse al ministero del Tesoro americano autorizzato a stampare carta/moneta.

Alcuni grandi gruppi Usa tirarono un enorme sospiro di sollievo: videro saldarsi i loro crediti e tornare copiose le commesse ‘militari’. Idem il mondo finanziario per il quale si aprì una fase di enorme prosperità. Il debito degli Usa prese a crescere vertiginosamente, ma l’arrivo di tanti soldi-carta, oltre a tacitare i creditori, aprì le porte a una crescita economica mai vista.
Accadde, però, un altro fatto centrale: la ‘casta’ militare venne a saldarsi con la ‘casta’ finanziaria, ovviamente in modo del tutto non palese. Non è sciocco dire che negli Usa, oggi, esiste un centro di potere privato parallelo a quello governativo, importantissimo e altrettanto – se non ancora di più – forte.

Per il dollaro fu una débâcle dell’ordine di oltre il 3.500% (tremilacinquecento percento) in termini di perdita di potere d’acquisto. Il cittadino americano è senza dubbio il più indebitato al mondo, ma, sfortunatamente, lo è anche come responsabile di debiti privati e famigliari che sono altissimi. Ancora oggi il governo americano delibera, di tanto in tanto, di aumentare il già altissimo tetto dell’indebitamento statale, per poter pagare le pensioni o i dipendenti pubblici. Altro che debito del cittadino italiano, il quale oltretutto non è così indebitato sul piano privato.

Fu l’inizio di un’era incredibile e inattesa del ‘bengodi’: la gente credette che il sistema capitalistico avesse ormai dato dimostrazione di aver risolto definitivamente il problema del benessere per larghi strati di popolazioni: cibo, salute, casa, automobile, vacanze, viaggi, ecc. Il guaio era – e nessuno se ne accorse, e ancora oggi pochi se ne rendono conto – che tutto questo benessere era poggiato sul ‘debito’. E, come tutti sanno, quando ci si indebita, prima o poi arriva sempre il momento di restituire il credito ottenuto. E’ in quel frangente che possono anche nascere problemi seri.

Di più. In una situazione normale l’aumento della ricchezza concreta (espressa in moneta scambiabile) serve a pagare gli interessi maturati in quell’anno sul debito contratto. Difficilmente si riesce a produrre anche la rata del prestito venuta in scadenza da restituire al creditore. Ma, viste le prospettive, il creditore stesso interviene prestando altro denaro che serve per coprire le scadenze del debitore: nasce così il ‘credito revolving’.

Quella del credito revolving (nuovi prestiti per pagare quelli scaduti) divenne una piaga regolare, la ciliegina sulla torta.
Bingo! L’economia cedette e le garanzie solide persero valore: si arrivò così al 2008.

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