La notte degli Oscar 2017 sarà ricordata non solo come quella della gaffe che ha fatto sognare per un attimo il cast di La La Land per poi assegnare il premio come miglior film alla squadra di Moonlight. Oppure come la notte che per la prima volta ha premiato un attore musulmano e in cui il black power ha conquistato Hollywood. La cerimonia del 26 febbraio sarà anche quella dove i vincitori non sono saliti sul palco del Dolby Theatre di Los Angeles. Chi per protesta, come avevano annunciato con largo anticipo Asghar Farhadi e Taraneh Alidoosti, regista e attrice de Il Cliente, chi per essersi visto rifiutare l’ingresso nel Paese, come Khaled Khatib e Raed Saleh, rispettivamente autore di alcune immagini di The White Helmets e capo dell’omonima Difesa Civile Siriana. Il comun denominatore è il Muslim Ban voluto dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

“Siamo grati per il riconoscimento del nostro lavoro, ma ci hanno respinto in aeroporto”.
Il comunicato della Difesa Civile Siriana, oltre 3mila volontari che dall’inizio de conflitto in Siria hanno soccorso più di 82mila vittime, e le reazioni dei protagonisti del documentario del regista britannico, Orlando von Einsiedel, hanno più il sapore della felicità per il risultato inaspettato che dell’amarezza per non aver partecipato alla notte degli Academy Awards. “Siamo molto grati che questo film abbia messo in luce il nostro lavoro – ha detto Saleh in un video di ringraziamento pubblicato sui canali social dei White Helmets – Abbiamo salvato più di 82.000 civili fino a oggi. Invito quanti mi ascoltano a lavorare per la vita, per fermare lo spargimento di sangue in Siria e in altre parti del mondo”. Un ringraziamento per un risultato e una visibilità inaspettati fino a qualche anno fa e che maschera anche il rammarico per non aver potuto partecipare alla consegna delle statuette su un palcoscenico che avrebbe fatto da vera cassa di risonanza per il messaggio dei volontari impegnati nel conflitto siriano.

Sì, perché alla premiazione dovevano esserci lo stesso Saleh e Khaled Kathib, 21enne videomaker siriano che lavora per i caschi bianchi e autore, tra l’altro, di molte immagini utilizzate dalla pellicola vincitrice del premio come miglior cortometraggio documentario. Lo stesso Kathib aveva annunciato sui social di aver ottenuto il visto per viaggiare negli Stati Uniti. Un sogno, quello del giovane giornalista e della squadra di volontari, che si è infranto due giorni fa: “Dopo tre giorni in aeroporto – ha annunciato il videomaker su Twitter – Non ci è stato permesso di partecipare agli Oscar 2017. Avevamo il visto, ma non sono stati accettati i passaporti. Triste, ma l’importante è il lavoro da fare qui”. A rendere loro omaggio è stato lo stesso von Einsiedel che ha impiegato i pochi secondi a disposizione per il proprio discorso per leggere parte del comunicato di ringraziamento inviatogli dai White Helmets, chiedendo di mettere fine a una guerra che dura da sei anni. Standing ovation in sala.

Farhadi: “La mia assenza è dovuta al rispetto per i miei concittadini”
Ciò che è successo al momento della premiazione per il miglior film straniero è uno scenario che in molti avevano prospettato. Il palco del Dolby Theatre è rimasto orfano di uno dei protagonisti, del vincitore di una delle statuette più ambite. Al posto di Asghar Farhadi, regista iraniano de Il Cliente, pellicola vincitrice del premio come miglior film straniero, un suo comunicato con il quale ha ringraziato per il riconoscimento che lo porta, con la sua seconda statuetta, tra i grandi del cinema internazionale, e ha spiegato i motivi della sua assenza. “Mi dispiace non essere con voi stanotte, ma la mia assenza è dovuta al rispetto per i miei concittadini e per i cittadini delle altre sei nazioni che hanno subìto una mancanza di rispetto a causa di una legge disumana che ha impedito l’ingresso negli Stati Uniti agli immigrati – ha scritto riferendosi al Muslim Ban voluto dal Presidente Trump e bocciato da diverse Corti d’Appello statunitensi – Dividere il mondo fra noi e gli altri, i ‘nemici’, crea paure e crea una giustificazione ingannevole per l’aggressione e la guerra. Queste guerre impediscono lo sviluppo della democrazia e dei diritti umani in paesi che a loro volta sono stati vittime di aggressioni. I registi possono, attraverso le loro macchine da presa, catturare le qualità umane condivise da chiunque e abbattere gli stereotipi su nazionalità e religioni. Creano empatia tra noi e gli altri, quell’empatia che oggi ci serve più che mai”.

Una scelta, quella di Farhadi, annunciata già da settimane, poco dopo quella dell’attrice e musa del regista iraniano, Taraneh Alidoosti. Un’assenza, aveva da subito specificato il già premio Oscar nel 2012 con Una Separazione, che ci sarebbe stata indipendentemente dalla concessione di un permesso speciale per lui e il suo staff. Decisione condivisa anche dal Ministro della Cultura iraniano, Reza Salehi Amiri: “La tua assenza simbolica agli Academy Awards – ha scritto Amiri in una nota indirizzata al regista premio Oscar – ha smascherato i cosiddetti difensori dei diritti umani”.
Twitter: @GianniRosini

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