All’inizio dell’anno, i guru dell’alta finanza sostenevano che Brexit e l’elezione di Donald Trump avrebbero prodotto due choc così forti da mettere a repentaglio la sopravvivenza del sistema finanziario, in altre parole potevano creare una crisi della portata del crollo della Lehman Brothers. Certamente la Brexit ha prodotto il crollo della sterlina e continua ad essere per tutti un’incognita scomoda, ma non è certo paragonabile alla bancarotta della Lehman. L’elezione di Trump, almeno fino ad ora, sembra addirittura aver rinvigorito i mercati. Ciò significa che siamo fuori pericolo?

E’ ancora presto per tirare il fiato. Un anno fa nessuno aveva previsto con accuratezza gli esiti elettorali nel Regno Unito e negli Stati Uniti d’America, come nessuno si era interessato al referendum italiano sulla Costituzione. Eppure il voto di dicembre appare sempre più come il terzo imprevedibile fenomeno che può far deragliare i delicati equilibri su cui poggia il sistema finanziario e politico europeo. E vediamo perché.

Matteo Renzi aveva affermato che il suo futuro di leader dipende dal voto di dicembre, come David Cameron ha giocato la propria carriera alla roulette del referendum, perché di questo si tratta dal momento che ormai i sondaggi non funzionano più e nessuno sa come voteranno gli italiani. Ma l’Italia non è il Regno Unito, la vittoria del No e le eventuali dimissioni di Renzi con molta probabilità apriranno una crisi di governo che difficilmente verrà sanata, morale della favola l’Italia potrebbe nel 2017 andare alle elezioni anticipate e nessuno, neppure Matteo Renzi, ha idea dei risultati del voto.

Uno scenario, dunque, di profonda incertezza contro il quale si staglia la crisi del sistema bancario italiano e dalla quale dipenderà il destino della terza banca italiana per grandezza e la più antica in assoluto, il Monte dei Paschi di Siena, fondata nel 1472.

Nelle ultime settimane il governo ha freneticamente cercato di salvare l’istituto di credito un tempo prestigioso, le tappe le conosciamo tutti: a luglio la banca non ha passato l’esame della Banca centrale europea, un test dal quale risulta che ha in portafoglio 55,2 miliardi di dollari di cattivi investimenti, un eufemismo per la parola perdite. La Bce ha anche detto che dalla vendita di questa zavorra il Monte dei Paschi potrebbe ricavare soltanto il 20 per cento del valore totale, 20 centesimi per ogni dollaro) e che non sarebbe in grado di sopravvivere ad una nuova recessione economica.

Di fronte a queste conclusioni il governo non poteva, come fece la Grecia nel lontano 2010 e 2011, salvare la banca rilevando le perdite, la Bce ha vietato questo tipo di intervento e si capisce anche perché: le cifre sono talmente elevate che se si salva la banca con i soldi del contribuente si trasla la crisi sulle finanze dello Stato.

Altra possibilità, anche questa sperimentata durante la crisi greca, è il cosiddetto ‘aircut’, taglio dei capelli, degli investitori. Che significa? Che chi ha acquistato le obbligazioni del Monte dei Paschi si ritrova con un valore più basso di quello al quale le aveva comprate. Una strategia che permette di non penalizzare i risparmiatori correntisti. Ma anche questa strada non era percorribile perché a differenza del debito greco che era in buona parte nelle mani di investitori istituzionali stranieri e greci, quello del Monte di Paschi è stato sottoscritto dai fondi pensione italiani e dai privati, si tratta di 130.000 persone ed istituzioni. Come mai? Perché chi ha venduto queste obbligazioni non le ha potute piazzare in nessun altro mercato, così le ha vendute alla clientela italiana sulla fiducia, cioè presentandole come investimenti sicurissimi.

A questo punto, il governo ha cercato un’alternativa: mettere insieme un consorzio di banche ‘amiche’ che comprano i cattivi investimenti del Monte dei Paschi, liberandolo dalla zavorra che lo sta facendo affondare. La proposta era di trovare 5 miliardi di euro provenienti da Santander, Goldman Sachs, Citi, Credit Suisse, Deutsche Bank e Bank of America. Secondo l’accordo il Monte dei Paschi avrebbe venduto 27 miliardi di cattivi investimenti, che sarebbero stati ‘riconfigurati’ con l’ausilio dei derivati in titoli del valore di 9,2 miliardi di euro. Si sarebbe trattato del terzo prestito in due anni, dai salvataggi precedenti la banca di Siena aveva ricevuto 8 miliardi di euro.

Ma questo accordo non è andato in porto. Con il referendum alle porte, il governo ha, dunque, pensato di lasciare che il Monte dei Paschi facesse un’emissione pubblica per raccogliere 4,6 miliardi in titoli. Il problema è che il valore di mercato delle azioni della banca è oggi 740 milioni di dollari, basso, troppo basso per garantire l’emissione dei titoli. Secondo la banca il Qatar sarebbe interessato a sottoscrivere l’emissione, anche se non si capisce bene perché.

Renzi sa bene che il fallimento del Monte dei Paschi darebbe vita ad un effetto domino simile a quello del crollo della Lehman Brother, anche se in proporzioni ridotte; sa anche che Bruxelles e la Bce ne sono coscienti e che la vittoria del No farebbe crollare la fiducia nei confronti del sistema bancario italiano, ed ecco perché è tornato a dirsi disposto a giocare la carriera sui risultati del referendum. Spera che questi timori convincano gli italiani a votare Sì, anche se questa decisione darebbe carta bianca a chiunque, non solo al suo partito, vinca le prossime elezioni.

Naturalmente i cittadini europei sanno poco o nulla riguardo all’importanza di questo referendum per il loro futuro. E questo preoccupa per una serie di motivi, primo tra tutti lo scarso interesse della stampa riguardo ad alcune questioni fondamentali nei paesi membri dell’Unione e l’eccessivo interesse nei confronti di questioni, ugualmente importanti. Non ci resta che aspettare i risultati del voto!

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