L’episodio dei genitori di San Giuseppe Jato che non hanno mandato a scuola i loro figli a causa della presenza in classe di un bambino autistico non può finire in un articolo di cronaca ma deve urgentemente diventare un elemento di riflessione per tutti noi docenti, genitori e per il ministero dell’Istruzione.

Primo elemento: stiamo parlando di un bimbo di 7 anni perciò i compagni non hanno alcuna responsabilità. Gli ignoranti in questo caso sono i genitori che hanno deciso di “punire” la famiglia di quel bambino senza capire, comprendere. Non è la prima volta che accade.

Lo scorso 16 aprile Giulio si è trovato solo in classe mentre i suoi compagni di un istituto di Livorno erano in gita. Sempre lo scorso mese di aprile, in una scuola media di Legnano, una ragazza autistica non è potuta partire per il viaggio della memoria a Mathausen perché nessuno dei suoi compagni la voleva in camera. E alla media di Sorso, in provincia di Sassari, al saggio di fine anno tutti hanno suonato uno strumento ma l’autistico no.

L’elenco potrebbe continuare a lungo. Chi fa il nostro mestiere di giornalista e ha a cuore la questione raccoglie storie di questo genere da ogni parte d’Italia. L’ultimo caso arriva dalla Puglia dove Mario Iacovelli, dopo aver letto il caso del bambino autistico della provincia di Palermo, lasciato solo in classe dagli altri compagni per una singolare protesta dei genitori, ha deciso di raccontare la storia del ragazzo che segue da alcuni anni e che è stato vittima di un’analoga triste vicenda di emarginazione: “Lo scorso mese all’uscita della scuola elementare, a Gravina di Puglia, la madre non lo ha visto con gli altri compagni, ma solo con il suo insegnante di sostegno. Così aveva passato anche il resto della mattina, perché gli altri non erano entrati, inconsapevoli protagonisti di una protesta, studiata dai genitori per mandare un segnale ai dirigenti scolastici: il bambino autistico è pericoloso, devono finire le risposte violente di cui sono vittime le nostre creature”.

L’Italia, a differenza degli altri Paesi Europei, può vantare un’esperienza di ormai 30 anni di integrazione scolastica degli alunni con disabilità nella scuola ordinaria, a partire dalla prima legge datata 1971, fino ad arrivare a quella principale più attuale, la Legge Quadro 104 del 1992. Anzi ormai si parla di inclusione.

A questo punto una domanda: la stiamo davvero realizzando o forse è arrivato il momento di rimettere in discussione queste Leggi e di aprire un serio dibattito? Le risposte dell’ufficio scolastico regionale siciliano che si è subito giustificato con un “alla classe è stato fornito l’assistente” dimostrano la faccia dell’ipocrisia che da anni registriamo di fronte a questi episodi. Tutti hanno fatto tutto il possibile. Non uno che si metta la mano al petto. Non uno che dica “questa Legge non serve a nulla”.

E allora perché succedono fatti di questo genere? Includere non significa fornire un assistente, un insegnante di sostegno magari specializzata. Il primo passo per realizzare l’inclusione passa attraverso la conoscenza. Anni fa avevo in classe un ragazzo gravemente autistico. Spesso i compagni mi chiedevano: “Maestro ma cos’ha Matteo? E’ malato vero?”

Ad un certo punto dell’anno venne a scuola una psicoterapeuta che non era interessata a vedere Matteo ma a incontrare la classe e a spiegare loro cosa fosse quest’autismo, quali fossero le sue risorse, le sue modalità di comunicare. Informazioni che nemmeno io conoscevo. E che son certo pochi genitori dei compagni di classe di Matteo avevano.

L’inclusione passa attraverso tre processi: la professionalità dei docenti (tutti non solo quelli di sostegno dovrebbero conoscere almeno in generale le diverse forme di disabilità), l’informazione ai genitori e la loro partecipazione alla vita di classe; il mettere a conoscenza il gruppo dei compagni.

Una proposta banale: perché nelle nostre scuole non realizziamo delle biblioteche a disposizione dei docenti dove possono trovare dei testi sulle diverse tematiche? L’altro giorno a informare il maestro ci ha pensato la nonna di un bimbo autistico prestandomi un libro sul tema, non certo la scuola. E stavolta ha ragione il sottosegretario Davide Faraone, papà di una bimba autistica: “Ogni inclusione fallita è il fallimento di una scuola. E se l’episodio si confermerà così come è stato raccontato, saremo durissimi con i protagonisti dell’episodio. Un ragazzo autistico in corridoio, o a mensa da solo, è il fallimento di una scuola intera, dei suoi protagonisti. Se si è scelta una scorciatoia alla fatica dell’inclusione nessuno può sentirsi deresponsabilizzato”.

Tra questi nessuno, Faraone sappia che si deve partire dai vertici fino ai collaboratori scolastici: dal ministero stesso che ancora non ha compreso l’importanza di rivedere la Legge 104 e di dare risorse per formare i docenti mettendoli nelle condizioni di farlo senza ulteriori oneri; dagli uffici scolastici provinciali e regionali preoccupati solo dal mostrare che loro l’assistente l’hanno inviato; dai dirigenti travolti da mille questioni e ormai privi del tempo di entrare nelle classi; dai docenti che hanno il dovere di interessarsi e creare una comunità scolastica.

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