Il 5 luglio scorso avevo pubblicato un post in cui mettevo in evidenza il repentino cambiamento di politica estera di Erdogan. Alla luce di quello che è successo in Turchia tra venerdì e sabato scorsi, il tentativo di colpo di stato, c’è da chiedersi che cosa cambierà nella politica interna ed estera. Ormai pare chiaro che il tentativo di golpe sia fallito e le cifre a nostra disposizione rimbalzate dalle agenzie internazionali parlano di più di 200 morti e un numero che supera di gran lunga il migliaio i militari arrestati. Le forze armate nonostante i proclami alla televisione, si sono ritrovati divise e il capo di stato maggiore, Hulusi Akar, preso in ostaggio è stato successivamente liberato.

Erdogan ha avuto dalla sua parte la grande maggioranza del popolo che ha risposto all’appello a scendere nelle strade, un appello fatto grazie a uno smart phone. Il presidente turco ha incassato l’appoggio dei grandi della terra da Obama a TuskBan Ki-moon, alla Merkel, tutti unanimi nel condannare il tentativo di colpo di stato e nel riaffermare che il governo turco risultava eletto secondo un metodo democratico e che doveva essere questa la via di qualsiasi cambiamento.

Sin dalle prime dichiarazioni Erdogan aveva imputato la preparazione e l’esecuzione del tentativo di golpe al suo acerrimo nemico Fethullah Gülen. Il ricchissimo uomo d’affari e sufi una volta amico e sostenitore di Erdogan, ora in esilio in America. Egli sarebbe, secondo fonti presidenziali, all’origine del tentativo di colpo di stato. Gülen da parte sua smentisce questa ricostruzione dei fatti, anche se non fa mistero della sua opposizione a un regime che considera una continuazione camuffata del progetto di Kemal Ataturk , con una democrazia presidenziale ispirata ai valori islamici. E’ il modello di stato che Erdogan vuole costruire che è in gioco. I golpisti, probabilmente settori legati ad una visione dello stato kemalista e settori vicini a Fethullah Gülen, scampati alle purghe che negli ultimi tempi il governo aveva operato, hanno intravisto, ora, il momento favorevole ancor prima che un’altra ondata li avrebbe definitivamente emarginati, per tentare di fermare l’azione del governo. Infatti nelle loro dichiarazioni hanno rivendicato un’azione in favore dell’instaurazione di uno stato laico, del ripristino della democrazia e delle libertà che il governo aveva soffocato.

Ma al di là delle dichiarazioni di principio sono apparsi sprovveduti probabilmente pronti a cadere in una trappola di Erdogan, il quale porterà avanti con più vigore e determinazione i suoi progetti di islamizzazione della società turca a discapito delle libertà democratiche. Questo è, a mio parere, il punto su cui focalizzare la nostra analisi. Il golpe diventerà una buona occasione per realizzare a pieno la democrazia islamica a carattere presidenziale. Che forma dare allo stato in un contesto islamico non è solo un problema della Turchia. All’indomani delle rivoluzioni arabe Erdogan si fece paladino di una democrazia musulmana, che avrebbe saputo coniugare le libertà democratiche con la religione. In occidente sembravano credere a questa nuova formula e premevano perché quei paesi del sud del Mediterraneo che si erano appena liberati dei dittatori facessero tesoro di quanto propagandava Erdogan.

Quanto è durato questo idillio? Lo spazio di un mattino, perché ben presto si è visto il volto repressivo del regime con l’incarcerazione dei giornalisti, la chiusura di giornali che si opponevano al governo e la chiusura dei social network. E la lista potrebbe essere ancora più lunga per finire con l’imbavagliamento degli oppositori politici. Ora vedremo le conseguenze di questo malaugurato tentativo di golpe a cui dobbiamo preferire una via democratica al cambiamento. Allo stesso tempo ci interroghiamo quando e dove si fermerà l’arroganza del potere.

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