Una collezione di armi degna dell’ispettore Callaghan. E adesso un avviso di garanzia con l’accusa di malversazione in un inchiesta su operazioni immobiliari molto discusse. Ma a far discutere in Vaticano è soprattutto il nome del protagonista: Domenico Calcagno. Un cardinale. Uno degli uomini più potenti della Santa Sede, perché come presidente dell’Apsa (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica) amministra centinaia di milioni. Il fascicolo che lo vede indagato – insieme con sacerdoti noti per il loro interesse per il mattone – scava nel passato del cardinale, negli anni in cui era vescovo di Savona. Sono diversi gli affari su cui i magistrati stanno cercando di fare chiarezza. Operazioni in cui la Curia, attraverso l’ente sostentamento per il clero, aveva creato società. Una anche con un imprenditore destinatario di una misura interdittiva antimafia. I pm stanno cercando di ricostruire le operazioni immobiliari, ma anche la provenienza di denaro transitato attraverso le casse dell’ente sostentamento del clero. Una cassaforte che, utilizzando anche conti correnti stranieri in Vaticano, non è sempre facile “aprire”. Almeno quattro le operazioni su cui i magistrati si sono concentrati, finora.

Tutto doveva diventare cemento. Ci sono operazioni poi bloccate come la riconversione in villette dei cantieri navali Caviglia e la trasformazione in palazzo di un asilo, lascito di un benefattore. Ma soprattutto altre andate in porto: le ex colonie Bergamasche di Celle Ligure diventate un residence di lusso. In questa operazione portata avanti dalla società Punta dell’Olmo troviamo l’Istituto diocesano per il sostentamento del clero, società poi fallite e il gruppo di Aldo Spinelli (ex patron del Genoa e oggi del Livorno, vicino in passato al centrosinistra di Claudio Burlando e Raffaella Paita, ma anche finanziatore della campagna elettorale di Giovanni Toti). E qui si apre anche il capitolo di fidi e fideiussioni concessi dalla banca Carige. Ci sono i 9 milioni sottoscritti, secondo i magistrati, da don Pietro Tartarotti (all’epoca presidente dell’Istituto e oggi indagato) che non avrebbe avuto la delega per farlo. Ma anche il dossier di Bankitalia su Carige si occupa dell’operazione Celle a proposito dei fidi che sarebbero stati concessi con molta facilità. Si parlava di 50 milioni di euro.

Colonie, ma anche il parco dell’ex seminario. Tutto è stato riconvertito con operazioni mobiliari. Ecco allora nascere un maxi parcheggio. E qui, ricordano gli investigatori, si apre un’altra pista di indagine. Tutto nasce dall’esposto presentato da don Carlo Rebagliati che per anni fu economo della diocesi di Savona. Una vicenda seguita da Francesco Zanardi, presidente di Rete L’abuso che rappresenta le vittime dei reati di pedofilia. Il Fatto ha potuto leggere il carteggio riservato – depositato agli atti – in cui Rebagliati comunicava a Calcagno di voler lasciare il proprio incarico per il profondo disagio suscitato dalla gestione degli immobili della Curia. Ma c’è anche un messaggio (e un audio registrato) in cui Rebagliati sostiene di “aver timore di essere ucciso”. Il sacerdote morì poi nel 2013 in ospedale e la Procura aprì un’inchiesta (senza indagati e poi archiviata).

C’era qualcosa che tormentava don Rebagliati. Gli stessi vertici laici dell’Istituto sostentamento del clero scrissero missive preoccupate (il cronista ha potuto leggerle): “Voglio esprimere la mia preoccupazione per quanto emerso dai mezzi di comunicazione al riguardo di uno dei soci della Incisa S.r.l. (la società che gestì la realizzazione del parcheggio, ndr), Società che tu presiedi in quanto l’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero della Diocesi Savona – Noli ne detiene la quota di maggioranza”, veniva scritto in una lettera inviata nel 2006 a don Tartarotti.

A che cosa si faceva riferimento? “C’è un meccanismo che andrebbe chiarito”, disse don Rebagliati al cronista poco prima di morire, “Vengono costituite società che fanno riferimento a un sacerdote. Tra i soci c’è l’Istituto Sostentamento clero che poi si sfila. E la proprietà passa ai privati”. In quel caso figurava anche la Scavo.ter della famiglia Fotia. Le cronache ricordano che nel 2011 due membri della famiglia furono coinvolti in un’inchiesta che vide l’arresto di un esponente di spicco del Pd savonese. All’epoca fu arrestato Pietro Fotia, originario di Africo (Reggio Calabria) di cui da tempo in città si discuteva molto per la sua vertiginosa ascesa nel settore dei movimenti terra, per i tanti appalti ricevuti dagli enti pubblici locali. In casa del fratello Donato – che poi ottenne l’archiviazione – pochi mesi prima gli investigatori calabresi avevano arrestato un commerciante indagato per associazione a delinquere (in questa inchiesta Donato Fotia non era indagato).

L’avvocato Giovanni Ricco, legale dei Fotia, spiega: “Pietro Fotia non è mai stato indagato per mafia. La ditta è stata destinataria di misure interdittive, ma tutte le misure cautelari patrimoniali sono sempre state rigettate. Nell’inchiesta che vide anche l’arresto di un esponente Pd, Pietro Fotia è a processo, mentre il fratello Donato ha ottenuto l’archiviazione”. Insomma, anche in Curia quell’alleanza aveva fatto molto discutere. Chissà, forse Calcagno, nel frattempo diventato cardinale, aveva sperato di lasciarsi tutto alle spalle quando nel 2011 era stato chiamato a Roma. Il papa all’epoca era Joseph Ratzinger e l’uomo forte della Curia l’ex cardinale di Genova Tarcisio Bertone.

Il suo nome fu presto chiamato una prima volta agli onori delle cronache. Emerse infatti che l’alto prelato aveva un passione: le armi. Nella sua personale collezione figuravano: fucile marca Breda modello Argus, moschetto mod 31 marca Schmidt, fucile Faet Carcano (simile a quello che avrebbe ammazzato Kennedy), fucile Nagant di fabbricazione russa, fucile turco Hatsan. Tutte armi acquistate in armeria. Ma non basta. Il cardinale Calcagno dichiarò di “detenere anche, con le relative munizioni”: carabina Beretta calibro 22 per uso sportivo, fucile sovrapposto calibro 12 marca Gamba, doppietta da caccia calibro 12, fucile sovrapposto a due canne calibro 12 marca Franchi, fucile calibro 12 marca Beretta, Revolver Smith & Wesson calibro 357 Magnum. Quella dell’ispettore Callaghan. Poi una carabina di precisione Remington 7400, un bestione che non sembra proprio da caccia e se beccasse una quaglia la ridurrebbe in briciole. Al cronista che allora gli chiese spiegazioni, Calcagno rispose: “Quella per le armi è una vecchia passione. Andavo al tiro a segno. Purtroppo da quando sono qui in Vaticano ho dovuto smettere”. Il porporato dichiarò anche di aver venduto armi ad altri appassionati. Anche sacerdoti.

Una curia, quella di Savona, dove non mancano gli appassionati di armi. Oltre che del mattone. Ma le polemiche e gli scandali sul mondo ecclesiastico ligure ormai non si contano più. Dalla tempesta della pedofilia e degli scandali sessuali che ha portato papa Francesco a commissariare la curia di Albenga. Ma nemmeno la Curia genovese, retta da Tarcisio Bertone e poi da Angelo Bagnasco, è stata risparmiata dalle polemiche. Prima lo scandalo Mensopoli che vide imprenditori considerati vicini all’ex segretario di Stato toccati dalle indagini. Poi la febbre dal mattone con l’imprenditore Gianantonio Bandera (mai indagato), proprio quello che ristrutturò l’attico di Bertone. Bandera è stato al centro di tante operazioni immobiliari, anche intorno al monte di Portofino. A volte a braccetto con società che fanno riferimento a Gabriele Volpi, magnate del petrolio nigeriano di origine ligure.

Infine il nodo Carige, la banca travolta dagli scandali nella sua passata gestione, dove nella fondazione hanno regnato per anni figure vicine all’Opus Dei e alla Curia. Addirittura il centrosinistra che governava la Regione arrivò a lasciare un posto nel cda della Fondazione a persone designate dal cardinal Bagnasco. Una Curia con molti interessi. Intanto il seminario si svuotava. Nell’ultimo anno non c’è stata neanche una vocazione.

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