Il Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership) è un accordo commerciale attualmente in fase di negoziazione tra Stati Uniti e Unione Europea, sul quale di recente si è riaccesa l’attenzione mediatica. L’accordo è di portata epocale: se andasse in porto si creerebbe la più vasta area di libero scambio esistente, poiché Usa e Ue costituiscono circa la metà del Pil mondiale e un terzo del commercio globale. Ciò influirebbe in maniera sostanziale – e preoccupante – su molti aspetti della vita dei cittadini. Diversi interlocutori qualificati segnalano infatti che il Ttip avrebbe come effetto generale quello di “abbassare” il livello di regolamentazione riguardo a qualità e sicurezza dei prodotti, orientamento pubblico e “sociale” dei servizi essenziali, protezione e cura dell’ambiente.

Al di là dei possibili impatti futuri sul benessere delle persone e sulla tutela della loro “casa comune” – impatti che ovviamente ci inquietano – vogliamo puntare l’attenzione su un’ulteriore e forse più fondamentale questione connessa al Ttip, vale a dire il modo in cui esso condiziona il destino e il significato delle nostre “vecchie” democrazie. In pratica, ci sembra che l’accordo tenda a bypassare (e dunque a svuotare di potere e di senso) i luoghi di confronto e i processi di definizione delle scelte previsti dai nostri ordinamenti democratici. Ciò soprattutto in relazione a una clausola essenziale contenuta nell’accordo: si tratta dell’Isds (Investor to State Dispute Settlement: risoluzione delle controversie tra Stato e Investitore). Il ricorso all’Isds consente alle imprese multinazionali – e solo ad esse – di portare in giudizio uno Stato nel cui territorio esse hanno effettuato investimenti, se ritengono che lo stesso Stato minacci le loro prospettive di profitto, ad esempio promulgando una legge per proteggere l’ambiente o i diritti dei cittadini nel caso in cui confliggesse con l’attività dell’impresa .

L’Isds introduce insomma la possibilità di affrontare controversie su interessi commerciali e finanziari attraverso tribunali speciali e privati – distinti da quelli previsti dagli ordinamenti giuridici nazionali – che si riuniscono a porte chiuse in nome della confidenzialità commerciale, anche quando sono in gioco normative sull’ambiente o sul lavoro che riguardano tutti i cittadini. Questi tribunali sono composti da tre membri, scelti in un pool di poche centinaia di avvocati d’affari di livello internazionale. Ogni parte nomina il proprio difensore, poi le parti concordano la scelta del giudice (anch’egli avvocato). Non è previsto il ricorso in appello. Ci pare interessante riportare tre situazioni esemplari in cui alcune multinazionali hanno già fatto ricorso all’arbitrato Isds: l’azienda americana Lone Pine Resources ha chiesto 250 milioni di dollari al Canada a causa della moratoria approvata dal Quebec sulle attività di fracking (estrazione di petrolio dalle rocce con enormi rischi ambientali); la compagnia energetica svedese Vattenfall ha citato la Germania per la scelta di uscire dal nucleare in seguito al disastro di Fukushima, chiedendo un risarcimento per danni di circa 3,5 miliardi di euro; la Philip Morris ha fatto causa al governo dell’Uruguay per la promulgazione di una legge per limitazione del fumo.

Ai nostri occhi sono evidenti le anomalie presenti nella prospettiva generale del Ttip, che mina le basi della nostra democrazia nei suoi pilastri oltre che nel suo significato complessivo. Troviamo una forte suggestione su questo tema anche nell’enciclica di Papa Francesco Laudato si, di cui ricordiamo il seguente passo (par. 182): “la previsione dell’impatto ambientale delle iniziative imprenditoriali e dei progetti richiede processi politici trasparenti e sottoposti al dialogo, mentre la corruzione che nasconde il vero impatto ambientale di un progetto in cambio di favori spesso porta ad accordi ambigui che sfuggono al dovere di informare ed a un dibattito approfondito”. Il primo invito è quindi semplice: per prima cosa cerchiamo informazioni, approfondiamo e facciamo girare la voce. Se poi le nostre preoccupazioni sono condivise, l’ulteriore invito è quello di firmare il documento di opposizione all’accordo sul sito.

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