Dopo aver cambiato idea molte volte in soli due anni sul modo per realizzare la banda larga in Italia, ora Matteo Renzi ha molta fretta e ad aprile partiranno le prime gare per i lavori in cinque Regioni. L’improvvisa accelerazione sta creando un discreto caos che rischia di tradursi, come sempre in questi casi, in costi eccessivi da scaricare sugli utenti finali (o sui contribuenti, si può scegliere). “Sulla banda larga tutti i territori stanno ricevendo una particolare attenzione, ma il nuovo modello studiato insieme a Enel vedrà tra gli altri il protagonismo di Bari e Cagliari”, ha annunciato il premier a Pasqua.

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Bari e Cagliari non sono aree a fallimento di mercato dove, cioè, non si possono trovare clienti sufficienti a giustificare l’investimento. Tanto che a Bari, Telecom Italia ha già avviato un suo progetto Fiber to the Home (cioè la fibra che arriva direttamente in casa senza fermarsi all’“armadio” in strada) per 12 mila edifici. E già questo è strano: il premier che sponsorizza i progetti di un’azienda che è sì a controllo pubblico ma privata nella gestione e quotata in Borsa contro un’altra azienda privata, la Telecom, che ora sarà guidata da Flavio Cattaneo.

Per mesi Renzi ha cercato di usare Metroweb, società nell’orbita della Cassa depositi e prestiti che ha la fibra a Milano, Genova e Bologna, come ariete per riportare lo Stato dentro la Telecom, in nome della banda larga. Fallito quel tentativo, con Telecom in mano ai francesi di Vivendi, Renzi ripiega su Enel che investirà 2,5 miliardi nella banda larga tramite Enel Open Fiber. Ma Enel punta alle aree A e B, quelle dove c’è mercato e dove gli investimenti sarebbero arrivati anche senza la regia del governo. Quindi non svolge una funzione sociale, ma compete con gli altri per fare da gestore e realizzatore della rete.

Forse parteciperà anche alle gare che, tramite la società pubblica Infratel, il governo bandirà per la costruzione della banda nelle aree C e D, quelle a “fallimento di mercato” dove i privati non andrebbero. Ma in quel caso il conto lo pagano, a fondo perduto, i contribuenti. Non Enel. Quindi perché Renzi la sponsorizza così, come se l’ad Francesco Starace (da lui nominato) fosse un suo dipendente? Enel sta anche già trattando con Vodafone e Wind, i concorrenti di Telecom.

Nelle aree C e D ci sono da spendere 1,6 miliardi già resi disponibili dal Cipe, il comitato per le grandi opere, più altri 3 circa di fondi europei. Parecchi soldi per portare la banda larga a tutti i cittadini entro il 2020, superando l’attuale rete in rame della Telecom (ma resteranno strategici i 150 mila “armadi” dell’ex azienda pubblica come tappa intermedia dei cavi verso le case). Lo Stato bandirà le gare sia per la costruzione della rete sia per la gestione. Viste le premesse, con il premier che sceglie di essere tifoso invece che arbitro, sarà interessante vedere come verrà gestita la competizione e se non solleverà obiezioni dalla Commissione europea, inflessibile sugli aiuti di Stato.

Anche ammesso che vada tutto bene, però, si porrà un problema che riguarda l’Agcom, l’Autorità per le comunicazioni: quanto costeranno i servizi sulla fibra? Il Corriere delle comunicazioni ha analizzato il tema arrivando alla conclusione che si tratta di un “cubo di Rubik” insolubile. Nelle aree C e D, dove l’infrastruttura è a spese pubbliche, i prezzi potrebbero essere più bassi perché lo Stato non ha bisogno di margini di profitto sull’investimento. Ma così gli utenti delle aree più ricche – soprattutto grandi città – si troverebbero a pagare la banda larga due volte: con le tasse e con un sovrapprezzo sul servizio. Quindi è molto più probabile che alla fine si stabilisca per le aste nelle aree a fallimento di mercato un prezzo di costruzione analogo a quelle dove c’è il mercato. E dunque saranno i privati a fare le regole, in base alle proprie esigenze.

È già passato un anno dall’annuncio del master plan del governo sulla banda larga. Da allora non è successo quasi nulla. Ma ora si avvicina il referendum costituzionale di ottobre: Renzi sa che poche cose come i lavori pubblici (e la banda larga ne comporta parecchi sul territorio) porta consenso. Quindi, questa volta, è molto probabile che ci sia un’accelerazione. Ma la rapidità non è affatto garanzia di buoni risultati. Anzi.

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