Orso d’oro. Fuocoammare di Gianfranco Rosi ha travolto la 66ma Berlinale, e come una tempesta in piena estate ha sconvolto le coscienze del mondo. Perché un festival internazionale come quello di Berlino, di evidente vocazione politico-sociale-civile, parla a una platea internazionale che supera quella strettamente artistico-cinematografica.

Il suo film era fin dalle prime proiezioni in pole position nei favori della critica, ma questo si sa non essere elemento sufficiente per decretarne il successo presso le giurie. Meryl Streep, dall’alto della presidenza della giuria di quest’anno, si è invece fatta completamente emozionare dal film di Rosi, plaudendolo per “la compassione che esprime verso i suoi personaggi unita alla sua forza cinematografica nel combinare una questione politica a un racconto squisitamente artistico, coraggioso e struggente. Gianfranco Rosi – ha continuato la Steep – ci ha spiegato quanto può agire un documentario quando è così urgente, immaginativo e necessario”.

La presidente di giuriaMeryl Streep: “Racconto squisitamente artistico, coraggioso e struggente”

Il nostro cineasta, da parte sua, ha alzato l’Orso d’oro davanti all’ovazione del Berlinale Palast (dove era presente il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier ) volendo al suo fianco sia il dottor Pietro Bartolo che il suo assistente a Lampedusa, Peppino. “Dedico questo premio a tutte le persone che non sono mai approdate a Lampedusa perché morte in mare e a quelle che invece sull’isola vivono” ha annunciato con emozione Gianfranco Rosi. “I lampedusani, sono persone così aperte ad accogliere me come ciascuna donna e uomo che vi arriva, da ovunque. Loro hanno veramente il cuore aperto e a chi loro chiede il perché, rispondono che i pescatori prendono tutto ciò che arriva dal mare”. Virando poi il discorso di ringraziamento sulla questione politica, Rosi ha dichiarato: “È importante che l’Europa – forse per la prima volta in maniera ufficiale – inizi a interessarsi a questo problema divenuto catastrofe umanitaria. E sinceramente non mi sta piacendo quello che vedo e sento in giro, perché le barriere di qualunque tipo, ma soprattutto quelle mentali non devono esistere, sono pericolosissime. La gente muore per fuggire dalle tragedie”. Il regista aveva già espresso un simile concetto sul Red Carpet del Palast dicendo che “l’accoglienza non deve essere fatta dalle singole nazioni, ma dall’Europa. L’esempio che ieri ha dato l’Austria, che sta iniziando a chiudersi, non è un grande esempio. L’Italia ha fatto tantissimo – ha aggiunto il cineasta – per venti anni ha fatto da sola, ora non è più il momento di agire singolarmente”. 

Rosi: “Dedico questo premio a tutte le persone che non sono mai approdate a Lampedusa perché morte in mare e a quelle che invece sull’isola vivono”

Oltre a Fuocoammare, il palmares della 66ma Berlinale ha prodigato Orsi e premi un po’ tutto il mondo e accontentando tutti i gusti, dai più politici ai più artistici. Nella prima categoria – i premi politici – rientra decisamente il deludente Mort à Sarajevo del bosniaco Danis Tanovic (vincitore dell’Oscar nel 2005 per No Man’s Land) premiato con il Gran Premio della Giuria. Per motivi invece assai artistici, l’epico e mastodontico (il film dura 8 ore) A Lullaby to the sorrowful mystery del filippino Lav Diaz ha ricevuto l’Alfred Bauer Prize per “le nuove prospettive”: un film straordinario che meritava certamente un premio più importante. L’Orso d’argento per la regia è andato all’intimo e bellissimo L’avenir della francese Mia Hansen-Love, anche questa una scelta che riconosce la cinematografia pura più che i contenuti. La Hansen-Love, oltre ad essere la moglie di Olivier Assayas, è uno dei più promettenti talenti del cinema d’Oltralpe.

Rosi è il sesto italiano italiano a vincere l’Orso d’oro. Nel 2012 avevano trionfato i fratelli Taviani con Cesare non deve morire

Quanto alle interpretazioni, quello all’attrice è finito nelle mani della magnifica danese Trine Dyrholm, perfetta protagonista dell’ottimo Kollektivet (La comunità) di Thomas Vinterberg. Ricordiamo l’attrice già sua musa in Festen del 1998, il film che inaugurò il Dogma. L’Orso d’argento all’attore è andato “all’unanimità” al giovane tunisino Majd Mastoura protagonista di Inhebbek Hedi, film che si è conquistato anche il premio per la miglior opera prima, per la regia di Mohamed Ben Attia. Al polacco Tomasz Wasilewski è andato l’Orso d’argento per la sceneggiatura per il suo mediocre Zjednoczone stany Milosci mentre quello per il contributo artistico al direttore della fotografia taiwanese Mark Lee Ping-Bing (ha firmato la fotografia di In the mood for Love e dei film di Hou Hsiao-Hsien..) del film Chang Jiang Tu (Crosscurrent) del cinese Yang Chao.

Rosi il sesto italiano ad aggiudicarsi l’Orso d’Oro al Festival del cinema di Berlino. Il premio mancava al nostro Paese dal 2012 quando andò ai fratelli Taviani con Cesare non deve morire. Prima era andato nel 1991 a La casa del sorriso di Marco Ferreri, nel 1972 a Pierpaolo Pasolini con I racconti di Canterbury, nel 1971 a Vittorio De Sica con Il giardino dei Finzi Contini, nel 1963 a Il diavolo di Gianluigi Polidoro. 

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