All’alba del nuovo lustro mi sono ripromesso di dedicare una serie di post al castello di fandonie eretto da improbabili personaggi che talora esibiscono qualifiche accademiche di quart’ordine e talaltra si autoproclamano “esperti” a una platea allucinata.

Iniziamo la serie dalla cosiddetta “deflazione salariale tedesca” fandonia di immensa popolarità in quanto per motivi imperscrutabili agisce su alcune menti come la luna piena sui licantropi. L’argomento si basa su un guazzabuglio di ragionamenti talmente contorti che risulta arduo persino illustrarlo in modo coerente. Nella versione che reca qualche labile traccia di logica, asserisce che l’economia tedesca avrebbe distrutto le altre economie dell’area euro (in particolare l’Italia, mitica quinta potenza mondiale) grazie ad un proditorio abbassamento dei salari imposto brutalmente dal governo tedesco.

Come avrebbe potuto ottenere tale risultato il governo tedesco non è dato sapere, visto che i salari in Germania sono determinati attraverso contrattazioni collettive in cui le autorità non interferiscono. Per di più nei consigli di amministrzione delle grandi aziende siedono rappresentanti sindacali.

Ad ogni modo, secondo la vulgata, l’ariete che avrebbe sfondato la porta della prosperità è la famigerata riforma Hartz, vale a dire una sequenza di quattro pacchetti legislativi entrati in vigore tra il 1 gennaio 2003 e il 1 gennaio 2005. Vale la pena ricordare che all’inizio del secolo la Germania era unanimemente considerata il malato d’Europa, un paese scarsamente dinamico, debilitato dalla riunificazione, con lo sguardo nostalgico ai successi passati, ma destinato ad un declino irreversibile che avrebbe trascinato il resto dell’Unione Europea.

La riforma Hartz rappresentò una reazione a quello sconsolante malessere: in sostanza operava alcuni aggiustamenti marginali nella legislazione del lavoro e riduceva gli abusi del sistema di protezione sociale. A giudicare dai toni con cui viene demonizzata verrebbe da pensare che la riforma Hartz fu concepita, se non proprio dalla reincarnazione di Hitler, certamente da un clan di biechi ultra-liberisti. Invece fu un governo socialdemocratico, il più a sinistra degli ultimi decenni, ad elaborarlo e a farlo approvare in Parlamento.

Insomma, per riassumere la sostanza della fandonia, la riforma Hartz avrebbe provocato una drastica riduzione dei salari che condusse sul lastrico o nell’indigenza milioni di lavoratori costretti ad accettare gli esecrati minijob. Inoltre permise all’industria tedesca di operare una concorrenza sleale contro tutte le altre economie di Eurolandia, soprattutto contro quelle dei paesi mediterranei (dove prima dell’euro scorrevano fiumi di latte e miele, grazie alle virtù taumaturgiche della sovranità monetaria).

Per demolire la fandonia e spargervi il sale è sufficiente procurarsi i dati sui salari nei paesi avanzati raccolti dall’Ocse e facilmente accessibili attraverso questo link.

Il grafico riporta l’evoluzione dei salari reali medi annuali in Germania e in Italia (a prezzi costanti 2014) nel periodo 2000-2014. Non ho fatto alcuna elaborazione di sorta, sono i dati nudi e crudi come riportati dall’Ocse.
Salari

Saltano agli occhi quattro elementi principali.

1. I salari reali tedeschi sono sostanzialmente più alti di quelli italiani (e quasi uguali a quelli francesi)

2. A partire dal 2003, anno di entrata in vigore del primo pacchetto Hartz i salari reali tedeschi sono rimasti praticamente costanti. Di deflazione salariale o di spoliazione della classe lavoratrice nemmeno l’ombra.

3. Tra il 2007 ed il 2014, nonostante la crisi, i salari tedeschi sono aumentati cumulativamente di circa il 7%.

4. Se proprio uno volesse intestardirsi a ciarlare di deflazione salariale potrebbe guardare alla rapida diminuzione del 4,5% tra il 2010 ed il 2012 dei salari reali in Italia.

I ciarlatani più avveduti, per propagare la fandonia della deflazione salariale tedesca ricorrono al grafico del costo del lavoro per unità di prodotto (ULC nell’acronimo inglese) che dipende in parte dai salari, ma che è una misura della produttività del settore industriale. La serie dell’ULC illustra che il sistema tedesco è stato più efficiente di quello italiano (trduzione: sforna in media prodotti migliori a prezzi più bassi) per i motivi noti da decenni, ma che faticano a permeare le menti degli “esperti” da baraccone: infrastrutture decrepite, disincentivi agli investimenti, legislazione farraginose applicata da una burocrazia schizofrenica, fisco punitivo, tribunali da barzelletta, criminalita’ organizzata, politica industriale affidata ad Equitalia, pubblica amministrazione corrotta, elettorato marcio di clientelismo eccetera, eccetera.

In conclusione la prossima volta che vi propinano questa trita litania della svalutazione salariale tedesca sappiate che è il frutto avvelenato dell’ignoranza frullato nella viscida bava della malafede.

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