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Come abbiamo potuto vedere, con una pur micro operazione di separazione fra ‘moda’+’food’ e ‘manifatturiero’, lo scenario si presenta in modo ben diverso da quello che appariva guardando i ‘numeri’ in modo aggregato.

A mio avviso, un buon governo dovrebbe coraggiosamente puntare le proprie risorse per risollevare non semplicemente ‘l’export’, ma ‘l’export manifatturiero’: il resto se la cava egregiamente da solo.
Eh sì, perché occorre sottolineare una verità: la capacità produttiva italiana nel settore manifatturiero è superiore e non di poco a ciò che il solo mercato interno può di essa assorbire: nonostante le forti castrazioni delle nostre possibilità produttive, se vogliamo dare lavoro ai nostri figli e risollevarci da questa condanna della crisi economica dobbiamo esportare manifattura, esportare manifattura, esportare manifattura.
Bah, dirà qualcuno: sta scoprendo l’acqua calda…: già.
E in fondo è anche vero: anche se molti non se ne sono ancora accorti, presi dalle grandi visioni ‘bocconiane’ (sia detto sempre con tutto il sincero dovuto rispetto)…; a meno che…

Mi viene in mente, a questo punto, un fenomeno che ho visto moltissime volte e che – ne sono certo – ancora si ripete: l’ho chiamato ‘la magia di Linate’.
Linate e Malpensa: questi erano i due aeroporti che mi vedevano più frequentemente viaggiatore in partenza e in arrivo. Quasi sempre la partenza avveniva al mattino, talvolta di buon’ora.
Posata l’auto nel parcheggio dell’aeroscalo, entrati nei grandi saloni dedicati alle operazioni di imbarco, si arriva senza diaframmi all’interno di un’umanità in movimento quasi ‘browniano’: tutti gli individui si muovono senza una direzione prestabilita, incrociandosi, dividendosi per poi riaggregarsi ai banchi del ‘check-in’, con valigie, bambini, cappotti al braccio, ecc.ecc.
Pochissimi sorridono, anzi, praticamente nessuno: gli sguardi vagano lunghi, alla ricerca di qualcosa, cercando di sovrastare le teste vocianti che incrociano. Quante volte! Forse tre o quattro volte ogni mese.

Ma, nel mezzo di questa fauna umana vociante e un po’ affannata, un esemplare umano in particolare attirava la mia attenzione: il maschio ‘con la ventiquattro ore’. Già, la ‘ventiquattrore’, una valigetta piccola capace di contenere sia le documentazioni di lavoro che i pochi effetti personali, sufficienti per passare una notte in albergo. Era la traccia traditrice di colui che la portava a fianco. Naturalmente c’erano anche molti viaggiatori che avevano solo la cartella dei documenti di lavoro, senza gli effetti personali: questi partivano il mattino e tornavano la sera. Sia gli uni che gli altri avevano un raggio d’azione ‘europeo’: un volo di un’ora, massimo due: già la Russia appariva ‘fuori’ dal cerchio ’ventiquattrore’.

Ma chi erano questi bipedi viaggiatori? Che cosa potevano andare a fare? Scommisi e tuttora scommetto che questi personaggi andavano all’estero alla ricerca di qualche ‘ordine’ per la loro azienda: tutti (diciamo almeno il 99,5%) cercavano ordini. Esponenti di grandi aziende? Forse, anzi, certamente qualcuno lo sarà stato: diciamo massimo il 3% dei partenti?
E gli altri, chi erano mai, chi mai potevano essere?
La risposta era nell’aria, ma in fondo non volevo crederci.

Mi entrò in testa uno strano vocabolo, fatto di due parti: ‘esportazione stocastica’. ‘Stocastico’ significa aleatorio, probabilistico. A Roma dicono ‘’ndo còjo, còjo’. Il nostro mondo manifatturiero, costituito al 94% di aziende con meno di 50 dipendenti (di cui il 90% con meno di 10 dipendenti) si sa, è fatto di persone sveglie: imprenditori spesso ‘tuttofare’, ‘decision-makers’ impenitenti, aggressivi, sempre spicci nelle loro azioni. Scoprirò parecchi anni dopo che questi ‘decision-makers’ – parlo in linea generale – tendono a tenere nelle loro mani spesso e volentieri due ‘rami’ specifici della loro azienda: gli ‘acquisti’ (non si fidano di nessuno) e le ‘vendite’. Nel secondo caso, oltre che profondi conoscitori del loro prodotto, sono in parte obbligati a questa attività, visto e considerato che queste piccole aziende non hanno un ‘marchio’ forte che le trascini e che faccia garanzia per loro: è la ‘faccia’ del ‘decision-maker’ proprietario della piccola azienda che costituisce una sorta di affidabile garanzia di buon successo dell’acquisizione, ‘garanzia’ sempre ricercata da parte del ‘buyer’ dell’impresa straniera acquisitrice.
Ma proprio questo turbine di ‘ventiquattrore’ mi ha fatto venire in mente una domanda: quanto costa realmente, in termini percentuali, l’attività di vendita operata in questo modo?
E quale risultato è lecito attendersi da una attività – peraltro frenetica – di tipo ‘stocastico’?

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