Interventi per i consumi e gli investimenti pagati riducendo i margini di protezione dei conti pubblici e lasciando sullo sfondo tanti nodi irrisolti. Dalle famigerate clausole di salvaguardia alla flessibilità delle pensioni. Dopo i rilievi dei tecnici di Camera e Senato, ecco la lettura critica della legge di Stabilità fatta dal presidente della Corte dei Conti Raffaele Squitieri, in audizione nelle commissioni Bilancio. Per Squitieri, è chiara la “scelta” di “politica economica” che sta dietro la manovra: utilizzare “al massimo gli spazi di flessibilità disponibili riducendo esplicitamente i margini di protezione dei conti pubblici e lascia sullo sfondo nodi irrisolti (clausole, contratti pubblici e pensioni) e questioni importanti quali un definitivo riassetto del sistema di finanziamento delle autonomie territoriali”. Nel complesso, la legge di Stabilità “sconta il carattere temporaneo di alcune coperture e il permanere di clausole di salvaguardia rinviate al futuro” per cui saranno necessari “consistenti tagli di bilancio o aumenti di entrate” a partire dal 2017, “sia pure resi meno onerosi dai benefici di una maggiore crescita”. Una valutazione in linea con quella dell’Ufficio parlamentare di bilancio, il cui presidente Giuseppe Pisauro ha affermato in audizione che “la politica di bilancio relativamente espansiva per il 2016 adottata per far fronte a un quadro economico ancora relativamente fragile presenta tuttavia rischi non trascurabili negli anni successivi: la nostra sensazione è che negli anni successivi al 2016 ci sia qualche motivo di preoccupazione“.

Per la Corte è condivisibile la scelta di una “politica fiscale più accomodante come quella oggetto della manovra” perché mira “a bilanciare un possibile indebolimento della domanda estera con un maggiore contributo di consumi e investimenti”. “Appare pertanto condivisibile la preoccupazione del governo di non incidere in senso negativo sulle prospettive del paese, muovendo in direzione di un’ulteriore revisione di strategia di fiscal policy e degli obiettivi di convergenza verso l’equilibrio strutturale di bilancio”. Ma qui finiscono le note positive, perché, mentre i dati macroeconomici sono “incoraggianti ma non univoci”, il governo lascia dei vuoti che dovranno essere colmati negli anni a venire. In particolare la clausola di salvaguardia sull’aumento dell’Iva, viste le “condizioni economiche”, andava non “annullata”, ma rimodulata con “un articolato intervento sulle aliquote Iva agevolate e sulla struttura stessa delle aliquote, eventualmente attutito con misure di sgravio”.

Non va meglio sul fronte dello sbandierato taglio delle tasse sulle prime case, perché “la tassazione che riguarda gli immobili risulta ancora senza una fisionomia definita e richiede una particolare attenzione”. Il rischio è che a pagare il conto siano i non residenti: “Con l’abolizione dell’Imu e della Tasi sulla prima casa la principale fonte di finanziamento manovrabile degli enti riguarda le abitazioni diverse dalla prima casa, su cui continuerà a vivere il dualismo Tasi-Imu, con la conseguenza che la maggioranza dei servizi indivisibili forniti dai Comuni graverà di regola sui non residenti“. Secondo Squitieri infatti i non residenti non sono in grado di “operare” il “controllo politico sul’operato degli amministratori attraverso il voto”.

In più il taglio della Tasi, come rilevato anche nel dossier dei tecnici di Camera e Senato, “cristallizza” la capacità fiscale dei Comuni, avvantaggiando chi ha alzato al massimo le aliquote e penalizzando i Comuni dove la Tasi era meno cara. Di conseguenza “andrà valutato come si distribuirà tra gli enti il reintegro dei fondi della Tasi sulle prime case. Ne trarranno il beneficio maggiore gli enti che hanno attivato il tributo utilizzando al massimo la propria capacità fiscale (che viene così cristallizzata). Le collettività che potevano apparire ieri come le più penalizzate potranno godere dal 2016 di un relativo beneficio”. Ma “fermo il capitolo catasto e nuove rendite, con l’abolizione dell’Imu e della Tasi sulla prima casa, la principale fonte di finanziamento manovrabile da parte degli enti riguarda le abitazioni diverse dalla prima casa, su cui continuerà a vivere il dualismo Tasi-Imu, con la conseguenza che la maggioranza dei servizi indivisibili forniti dai comuni graverà di regola sui non residenti”.

Quanto ai tagli alla sanità, che hanno scatenato le proteste dei governatori delle regioni, a fronte degli “800 milioni necessari per l’adeguamento delle prestazioni ai nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea) l’incremento delle risorse rispetto al livello 2015 è solo di 500 milioni”.

Per quanto riguarda il rinnovo dei contratti pubblici, la Stabilità “non modifica l’approccio seguito negli ultimi anni”. Con la manovra “vengono stanziate risorse (300 milioni di euro) equivalenti, di fatto, alla sola corresponsione dell’indennità di vacanza contrattuale“. Il presidente ha poi ricordato che la Corte dei conti ha stimato la cifra necessaria “in circa 2 miliardi nel 2016 (in linea con quanto indicato anche nel Def) e 5 miliardi a regime”. “La copertura – ha precisato – viene assicurata dalla riproduzione di severe misure di contenimento della spesa per i redditi da lavoro dipendente – ormai in atto da oltre un quinquennio – relative alla limitazione delle assunzioni, al blocco dei trattamenti accessori, alla riduzione di alcune indennità spettanti a specifiche categorie di persone”.

Inoltre “le norme vigenti sul blocco delle assunzioni” nel pubblico impiego “si rilevano non univoche e di difficile lettura e attuazione. Il quadro normativo relativo ai vincoli assunzionali si presenta, infatti, frammentato e non sempre coerente. Frequenti sono le eccezioni e le deroghe ai principi generali, confermate dal ddl Stabilità, così come le norme specifiche a tutela di particolari settori di attività”. E “suscita perplessità la norma che prevede l’assunzione di 50 dirigenti presso le amministrazioni statali in quanto non coordinata con la recente normativa di riordino delle dirigenza pubblica”.

 

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