Federalberghi l’aveva chiesto, la Camera ha eseguito. Montecitorio ha dato il via libera all’emendamento al Ddl concorrenza che consente agli hotel di offrire sul proprio sito internet camere a prezzo inferiore rispetto a quello disponibile su Booking.com. Oggi i contratti tra il portale e le strutture alberghiere comprendono una clausola che lo impedisce in nome della cosiddetta “parità tariffaria”, in gergo parity rate. Da ora in poi invece, si legge nella proposta di modifica approvata con 434 voti a favore e 4 contrari e il parere favorevole dei relatori Pd Silvia Fregolent e Andrea Martella, sarà “nullo ogni patto con il quale l’impresa turistico-ricettiva si obbliga a non praticare alla clientela finale, con qualsiasi modalità e qualsiasi strumento, prezzi, termini e ogni altra condizione che siano migliorativi rispetto a quelli praticati dalla stessa impresa per il tramite di soggetti terzi”.
La federazione a giugno ha fatto ricorso al Tar Lazio contro la parity rate e a fine settembre ha sollecitato il Parlamento a intervenire “celermente”, sostenendo che la parity rate è un capestro che favorisce le piattaforme di prenotazione online e penalizza non solo gli alberghi anche gli utenti.
Secondo il ministro dei beni culturali e del turismo Dario Franceschini, “ora che Francia e Italia hanno scelto la strada del divieto della clausola del parity rate anche i colossi globali dell’offerta alberghiera online non potranno che tenere conto della scelta di due paesi che insieme rappresentano il più grande mercato mondiale del turismo”. In Francia infatti la legge Macron approvata dall’Assemblea Nazionale lo scorso 10 luglio ha introdotto nel Codice del turismo un apposito articolo di disciplina dei rapporti tra piattaforme di prenotazione e albergatori, stabilendo che questi ultimi mantengono il diritto di determinare le condizioni di offerta dei servizi.
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