Avevano vinto proprio grazie a quella mossa decisa all’ultimo secondo: “Paghiamo tutte le bonifiche”. Un mese dopo, proprio sul fronte della ‘pulizia’ dei terreni del Portello, il Milan fa marcia indietro: “Spesa onerosa oltre le attese. Dobbiamo limitare il costo a nostro carico”, ha scritto il club rossonero alla Fondazione Fiera, proprietaria dei terreni, secondo Il Corriere della Sera. Un dietrofront netto, che riapre lo scenario sull’assegnazione degli spazi. Nonostante proprio il Milan avesse fatto di tutto, in extremis, per avere quei terreni a disposizione e costruirci il nuovo stadio. La società della famiglia Berlusconi (e, da pochi giorni, del broker thailandese Bee Taechaubol) si era spesa in ogni modo per battere la concorrenza del progetto “Milano Alta” del gruppo Vitali-Stam. Rilancio dopo rilancio, il Milan aveva avuto la meglio, ricevendo l’ok definitivo della Fondazione lo scorso 7 luglio mettendo sul piatto tra i 15 e i 20 milioni di euro per le bonifiche. Poi la marcia indietro, decisa e probabilmente definitiva.

Perché la Fondazione aspettava i documenti firmati dal club per la conferma degli impegni assunti in fase di aggiudicazione. Il Milan ha prima posticipato il consiglio di amministrazione che avrebbe dovuto ratificare l’accordo, dal 27 luglio a lunedì 3 agosto. Poi ha spedito alla controparte due pagine nelle quali si specifica che un team di esperti ha valutato “spese onerose oltre attese” che comporteranno una limitazione del “costo a nostro carico”. Nel mezzo – e non è un dettaglio – la chiusura dell’accordo per la cessione del 48% delle quote alla cordata che fa capo a Bee Taechaubol. Le cronache degli scorsi mesi hanno spesso raccontato del nuovo stadio come di un asset strategico per la vendita. Ora però, dopo la firma del preliminare, il Milan “mette i puntini sulle i” con la Fondazione e sembra sganciarsi dall’opzione Portello.

Non è un mistero che i rossoneri abbiano da tempo almeno altre due aree (l’ex Falck a Sesto San Giovanni e via Valtellina) come possibili “piani B” ma un’inversione di marcia così a stretto giro non era stata messa in preventivo da nessuno. Men che meno dalla Fiera, che ora potrebbe chiedere delle penali al club e deve decidere se assegnare le aree a Vitali-Stam o riscrivere il bando. Ha pesato – e se sì, quanto? – l’ormai avvenuta cessione a Taechaubol? Oppure nel cambio di direzione hanno contato le proteste dei residenti della zona e, soprattutto, le tante voci contrarie in consiglio comunale, che avrà l’ultima parola sulla fattibilità del progetto rossonero? I distinguo nell’assise comunale sono molteplici e, con le amministrative in programma la prossima primavera, è probabile che la discussione sullo stadio del Milan venga posticipata (conferenza dei servizi a parte) al dopo elezioni vista la delicatezza del tema e la forte avversione dei residenti. Uno slittamento che cozzerebbe con la volontà di Barbara Berlusconi di accelerare i tempi.

Molto più semplice trattare con un privato come nel caso dell’ex area Falck, in mano all’imprenditore Davide Bizzi. Anche perché il Comitato No Stadio e il Codacons hanno alzato la posta dopo l’ok della Fondazione, presieduta da Benito Benedini, presentando una denuncia-querela contro la stessa Fiera e diffidando il sindaco Giuliano Pisapia. Forte la richiesta: “Si chiede alla Procura di indagare sull’attuale e il successivo iter che si dovesse sviluppare vista la contrarietà con le norme vigenti, eventualmente procedendo con il sottoporre a sequestro preventivo l’area in questione”. Ma forse il Milan farà le valigie prima.

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