“Una volta a una delle nostre porte ha bussato un ricercatore universitario. Oltre che un pasto, ci ha chiesto anche un computer per continuare a lavorare su un progetto”. L’episodio raccontato da Giancamillo Trani, vicedirettore (laico) della Caritas diocesana di Napoli, è l’istantanea da cui si può partire per raccontare come e quanto lavorano le mense per gli indigenti in Italia e in Europa. Storie e provenienze profondamente diverse, legate tutte, però, da un sottile filo rosso: l’inizio della crisi economica. Dal 2008, infatti, le file fuori dagli enti di assistenza si sono fatte sempre più lunghe e il cibo è diventato un parametro importante nella valutazione del nuovo disagio economico nel Vecchio continente.

Ridurre la povertà e la fame è uno dei temi dell’Expo, ma i numeri del problema sono impietosi. L’Istat in un rapporto del 2014 segnala, in Italia, oltre 6 milioni di persone in una situazione di povertà assoluta  oltre 4 milioni delle quali vivono sotto la soglia della povertà alimentare, cioè la condizione di chi può permettersi solo una spesa alimentare povera per quantità e qualità. Un dato in crescita: nel 2007, infatti, la quota di chi era considerato “povero a livello alimentare” si fermava a 3 milioni. Mentre in Europa l’Eurostat ha calcolato che nel 2013 quasi il 25 per cento della popolazione Ue, equivalente a 122,6 milioni di persone, era a rischio povertà ed esclusione sociale. Il 9,6 per cento della popolazione europea, secondo gli ultimi dati dell’istituto, è in condizioni di deprivazione. E tra i parametri considerati ci sono anche l’impossibilità di riuscire a fare un pasto con carne, pesce, pollo o equivalenti vegetariani almeno una volta ogni due giorni.

Così, sempre più spesso sono gli enti di assistenza a entrare in gioco per sopperire alla necessità di cibo degli italiani poveri. E non solo attraverso la distribuzione di cibo nelle mense. Secondo alcuni dati rielaborati dalla Coldiretti, nel 2012 le persone che hanno beneficiato dei servizi mensa sono state oltre 300mila, mentre quasi 3,8 milioni hanno usufruito dei pacchi alimentari distribuiti dagli enti di assistenza. Su tutto il territorio nazionale sono oltre 15mila le strutture caritative in attività.

Tra chi chiede aiuto anche giovani che lavorano ma guadagnano troppo poco – E se, negli anni, l’aumento della richiesta è stato costante, quello che è cambiato è l’identikit di chi chiede aiuto. “Dobbiamo uscire dallo stereotipo in base al quale il frequentante tipo è un anziano senza fissa dimora“, sottolinea Giancarlo Rovati, professore di sociologia all’università Cattolica di Milano. “In realtà a servirsi delle mense e di altri servizi sono adulti anche di età molto giovane, in età da lavoro. Molti fanno parte di quella categoria dei cosiddetti working poor, cioè i lavoratori poveri, quelli che hanno un lavoro saltuario o una retribuzione insufficiente. C’è da sottolineare il fatto che per il bisogno alimentare è più facile trovare aiuti: così chi chiede un pasto alle mense per indigenti è anche chi ha una propria abitazione, un lavoro e una famiglia e attraverso l’aiuto alimentare può destinare le proprie scarse risorse ad altro”.

Da nord a sud Italia unita nel solco del bisogno – In un ideale viaggio da nord a sud, facendo tappa per tre delle più grandi città italiane, ciò che unisce profondamente la Penisola è la bandiera del bisogno alimentare. Milano, oltre che essere quest’anno sede dell’Expo, è da sempre considerata una città ricca, simbolo di un’Italia benestante. Nell’anno in cui il cibo è sotto i riflettori, però, l’altra faccia è quella di un territorio dove sempre più persone hanno bisogno di aiuto. L’Opera San Francesco, ente gestito dai frati cappuccini e mensa più grande del capoluogo lombardo, nel 2014 ha sfornato oltre 869mila pasti caldiMarina Nava di Osf spiega: “Ci sono giorni in cui superiamo le 3mila utenze. Dal 2008 sono aumentati anche gli italiani, che adesso rappresentano il 12 per cento dei nostri utenti e sono la seconda nazionalità presente, dopo i rumeni”. Qui tutti ricevono lo stesso pasto, “ma con le dovute cautele: si cerca per esempio di evitare la carne di maiale, che potrebbe mettere in difficoltà le persone di religione islamica”. E anche se qui i minori, accompagnati dagli adulti, possono entrare, non si vedono molte famiglie in fila: “A volte ci sono madri rom con i figli, ma in genere si tratta di persone singole”. Ma l’attività dell’ente non si ferma solo alla distribuzione di cibo. Come sempre più spesso accade, le organizzazioni devono sopperire a varie carenze dello stato sociale: “Chi si rivolge al nostro istituto – prosegue Nava – ha anche la possibilità di fare una doccia una volta a settimana e di usufruire di un cambio di abito una volta al mese, oltre che di un ambulatorio medico, in caso di necessità per coloro che sono al di fuori del Sistema sanitario nazionale”.

A Napoli in coda anche promotori finanziari e avvocati – Seicento chilometri più a sud, a Roma, lo scenario non cambia: anche la mensa di via Dandolo, gestita dalla comunità di Sant’Egidio, ha visto aumentare le richieste. Nel 2014 si sono registrate 2.807 nuove iscrizioni e in 417 casi si trattava di italiani. I dati del Comune parlano di 627.890 utenti annui per quanto riguarda le mense sociali e 86.070 pasti a domicilio. Anche a Napoli, la composizione sociale di chi frequenta le mense per indigenti è mutata con gli anni: “Una volta era più facile tratteggiare i confini del disagio”, racconta Trani della Caritas diocesana di Napoli, che nella città partenopea coordina 10 mense, per una media di 1.500 pasti erogati al giorno. “Oggi c’è una diversa frequentazione: se prima si trattava principalmente di persone senza fissa dimora, o migranti, nell’ultimo biennio abbiamo notato un aumento degli anziani e delle nuove categorie sociali come i padri separati o le vittime del gioco d’azzardo. Tra l’altro cominciano ad affacciarsi anche membri di quelle che erano le cosiddette categorie benestanti, come promotori finanziari e qualche avvocato”.

Oltre alle mense anche pacchi alimentari a domicilio – C’è poi un intervento che va oltre quello delle mense: la Croce Rossa Italiana, ad esempio, nel 2014 ha fornito sostegno a oltre 1,5 milioni di contatti. Una fetta abbondante degli aiuti materiali ha riguardato la distribuzione di alimenti, attività svolta in modo capillare su tutto il territorio italiano dai vari comitati locali dislocati nel Paese. Molto, però, fa anche la lotta allo spreco di cibo. Delle 15mila strutture caritative in attività, la maggior parte di ispirazione religiosa, quasi 9mila sono convenzionate con la Rete Banco Alimentare, che si occupa di recuperare alimenti ancora integri e non scaduti che però sarebbero destinati alla distruzione perché non più commercializzabili, e di redistribuirli. “Ogni giorno questi alimenti vengono dati gratuitamente a circa 8.669 strutture caritative che danno sostegno a 1.910.000 poveri in Italia”, fanno sapere dall’ente. “C’è da registrare, poi, un aumento dei servizi paralleli – spiega Walter Nanni, responsabile dell’ufficio studi della Caritas nazionale –. C’è un significativo trend in crescita di chi fa richiesta di beni primari, ma allo stesso tempo anche di coloro che preferiscono non mettersi in coda alle mense, così si sono intensificati gli aiuti domiciliari e le consegne dei pacchi alimentari”. Non solo: la Croce Rossa distribuisce anche medicinali e materiale scolastico e paga le utenze per chi non può permetterselo. E le ong, a partire da Medici senza frontiere , sono sempre più attive nell’offrire assistenza sanitaria gratuita negli ambiti non coperti dal Servizio sanitario nazionale.

L’Europa non sta meglio Questa situazione accomuna l’Italia a tanti Paesi europei. Già nel 2013 un rapporto della Croce Rossa ha lanciato l’allarme sul fatto che sempre più persone chiedono sussidi alimentari. “In 22 Paesi dell’area – si legge – sono 3,5 milioni le persone che ricevono aiuti alimentari dai programmi di assistenza della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa. Questa cifra rappresenta un incremento del 75 per cento rispetto ai 2 milioni e mezzo del 2009 in 17 Paesi”. Tra i Paesi più in difficoltà, il rapporto segnala la Spagna, “dove sono 1,2 milioni le persone che hanno ricevuto aiuti alimentari nel 2012, più del doppio rispetto al 2009” e dove la comunità di Sant’Egidio, a causa della grande richiesta, è stata costretta ad aprire una mensa. Qui opera anche l’Ordine dei cavalieri di Malta, che nelle città di Madrid e Siviglia hanno servito quasi 200mila pasti. Sempre Sant’Egidio ha potuto calcolare anche un aumento del 10 per cento nella mensa che gestisce ad Anversa, di cittadini belgi. A Parigi sempre l’Ordine di Malta, distribuisce circa 30mila pasti caldi ogni anno e, anche qui l’ente va oltre la distribuzione dei pasti, e accoglie anche bisognosi e senza tetto a bordo delle chiatte ancorate lungo la Senna (in media sono 16mila i pernottamenti annui) e vengono offerti anche percorsi per agevolare il reinserimento nel mondo del lavoro. Sempre l’Ordine di Malta in Lituania nel 2014 ha servito serviti 85mila pasti caldi e in Bulgaria 450 pasti giornalieri. Ci sono poi i numeri della Lettonia, dove da parte della Croce Rossa sono state assistite 140mila persone, le 94mila famiglie in Romania e i 30 milioni di pasti erogati nel 2012 dalla Società nazionale Francese.

Drammatica la situazione greca, dove un recente rapporto della Caritas parla di un 55 per cento di famiglie impoverite che ha dichiarato di “non essere in grado di coprire le spese per il cibo necessario alla propria famiglia”. Con il conseguente aumento delle file per chiedere un pasto caldo. Ma anche i Paesi capofila del welfare europeo stanno vivendo qualche problema. È il caso della Gran Bretagna, dove “il crescente bisogno di cibo” ha obbligato la Croce Rossa locale, per la prima volta dalla seconda Guerra Mondiale, a scendere di nuovo in campo nella distribuzione alimentare. O quello della Germania, maestra di politiche di austerità in Europa, che nel 2014 ha visto raddoppiare a 1,5 milioni il numero di cittadini che si sfamano attraverso le banche alimentari. Ci sono poi i numeri della Lettonia, dove sono state assistite 140mila persone, le 94mila famiglie aiutate in Romania e i 30 milioni di pasti erogati nel 2012 dalla Croce Rossa francese.

I nuovi fondi europei per gli indigenti – Anche i dati 2013 della European federation of food banks rivelano un incremento nell’attività rispetto agli anni precedenti: sono state quasi 6 milioni le persone aiutate, in partnership con 31mila associazioni, per un totale di 804 milioni di pasti distribuiti e 402 milioni di tonnellate di cibo erogato. “In generale sono aumentati il bisogno, la richiesta e di conseguenza anche l’erogazione. Anche le organizzazioni di aiuto, però”, sottolinea Rovati, “hanno dovuto fare i conti con la crisi”. Una spirale negativa causata anche dal ritardo a livello comunitario nell’approvazione dei regolamenti sui nuovi fondi. All’inizio del 2014, però, il Fondo di aiuti europei agli indigenti (Fead) ha sostituito il precedente programma europeo Pead: si tratta di fondi europei che sostengono gli interventi promossi dai Paesi Ue per fornire agli indigenti assistenza materiale, tra cui, appunto, i generi alimentari. E’ grazie a questi soldi, oltre che con le donazioni e l’attività di fundraising, che la maggior parte degli enti svolge le proprie attività.

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