Nel mondo della geopolitica nulla avviene per caso: potrebbe anche sembrare una coincidenza, ma è certo che tutte le crisi e i conflitti avvengono in paesi con enormi risorse energetiche, produttori ed esportatori, oppure posizionati sulle vie di passaggio dell’energia. Se un giorno i cartelli dei pacifisti inascoltati contro le guerre portavano la scritta No Oil War, oggi tutti sanno (e pochi ne parlano) che siamo nell’era del Gas War.
Siamo di fronte ad una guerra mondiale a puntate, in zone che sembrano scollegate ma che in realtà compongono un mosaico di un nuovo equilibrio energetico mondiale, che riguarda da un lato riserve e giacimenti di gas e dall’altro i gasdotti e le vie di commercializzazione ed esportazione. Diversi obiettivi che riflettono gli interessi dei paesi coinvolti.
Partiamo dalla Libia. La scusa è sempre la stessa: aiutare il popolo libico sostenendo i ribelli, liberatori della Libia, ma è il gas il vero motore.
La Libia rischia di frantumarsi: è divisa tra due governi, uno legittimo riconosciuto dalla comunità internazionale, e uno guidato dal movimento dei Fratelli Musulmani legato alla Turchia e sponsorizzato dal Qatar. La questione principale resta quella delle fonti energetiche controllate da questi governi, che potrà avere effetti sulla spartizione delle riserve economiche. Le conseguenze di ciò che sta accadendo oggi sono un diverso assetto del paese, che ne faciliti il controllo, dividendolo per ridistribuire i contratti di petrolio, fermando però i progetti e gli scavi di gas, sotto le minaccia dell’IS.
Resta finora sulla carta invece la risoluzione contro le fonti di finanziamento del cosiddetto “stato islamico” e di altre organizzazioni jihadiste approvata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con la possibilità di infliggere sanzioni economiche a chi non la rispetta. La risoluzione proibisce, oltre al saccheggio, il contrabbando del patrimonio culturale di Siria e Iraq, esorta gli Stati membri a non pagare riscatti per gli ostaggi, e vieta il commercio del petrolio da cui l’IS ricaverebbe circa 900mila euro.
Infatti i sospetti sui traffici turchi riguardano i diversi siti delle industrie petrolifere nelle mani dei vari gruppi armati del cosiddetto Stato Islamico che gestiscono la rivendita illegale del petrolio e dei suoi derivati finanziando direttamente il terrorismo. Le milizie islamiche Alba Libica, nemiche del governo libico, contano pare sull’appoggio di Ankara, grazie ad un intenso traffico di aeri passeggeri e cargo fuori controllo.
Il governo libico non usa mezzi termini e punta il dito contro la Turchia, escludendola dai contratti petroliferi: “Sebbene nel recente passato abbiamo prove che Sudan e Qatar abbiano sostenuto gruppi terroristici, oggi è dalla Turchia che arriva un impatto negativo sulla sicurezza e sulla stabilità della Libia”. Il capo di governo Al Thani con queste parole accusa dichiaratamente questi due paesi di ingerenze attraverso il sostegno al governo parallelo di Tripoli guidato dai Fratelli musulmani e ai gruppi armati.
Nella guerra della Libia , dichiarata in tre giorni, finanziata e guidata direttamente dal Qatar con l’esecuzione della Francia, l’unico piano effettivo stabilito era che il Qatar si impegnava a commercializzare ed esportare l’energia libica.
In Libia si ripete lo stesso film dell’Afganistan, ma con attori diversi. Il Qatar, il primo paese al mondo per riserve di gas naturale, guardava in realtà con attenzione la Libia e le sue risorse energetiche, per la sua posizione geografica molto più strategica nei confronti delle’Europa. Shell, dopo due contratti, uno nel 2005 e un’altro nel 2008, stranamente aveva bloccato temporaneamente suoi progetti di esplorazione nei giacimenti di gas in Libia dichiarando che non avevano dato buoni risultati.
Secondo fonti americane il Qatar ha saldato il conto della guerra in Libia, costata 200 milioni di dollari ogni giorno: soldi spesi bene per l’obbiettivo finale di bloccare il flusso di gas libico in Europa.
Gli Usa in effetti non erano molto entusiasti per la guerra in Libia: otto società americane avevano già contratti petroliferi vantaggiosi. La Francia invece, ignorando gli interessi dell’Italia, con la pressione del Qatar che controlla l’economia francese e ne detta le regole e la politica estera, aveva invece grande interesse.Cosa guadagnano gli Stati Uniti? Bloccare intanto la Russia e il suo potere crescente che, insieme al gruppo del BRICS, potrebbe danneggiare gli interessi americani e l’alleanza Nato, confermandosi come unico produttore energetico mondiale.

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