Se il premier israeliano continuerà ad essere Benyamin Netanyahu, non nascerà nessuno Stato palestinese. A dirlo è lui stesso in un’intervista al sito israeliano Nrg rilasciata domenica 15 marzo, dove aggiunge che il Paese si trova ad affrontare una serie di pressioni internazionali che chiedono “il ritorno di Israele ai confini del ’67 e la divisione” della capitale. Alla vigilia delle elezioni Netanyahu, che ha visitato la colonia ebraica di Har Homa nei pressi di Gerusalemme est, aggiunge che l’unità della città sarà mantenuta “in tutte le sue parti” così come si continuerà “a costruirla e fortificarla” per impedire ogni sua futura divisione.

Possibili coalizioni – Dichiarazioni che puntano a rafforzare il consenso intorno al primo ministro che, secondo quanto rivelano i sondaggi, in caso di vittoria potrebbe formare un governo con ultranazionalisti, ebrei ortodossi e partiti centristi che gli hanno già offerto supporto o comunque non lo hanno escluso. Se riuscirà a farsi rieleggere per il terzo mandato consecutivo (il quarto non consecutivo da premier) batterà il record di fondatore e primo capo di governo dello Stato ebraico, David Ben Gurion.

Non si può però escludere che il politico 65enne possa essere battuto da Isaac Herzog, leader del partito di centro Unione sionista. Secondo quanto riferito dal Jerusalem Post, recenti sondaggi hanno creato un clima di apprensione nel Likud: mentre ancora all’inizio del mese il 60 per cento degli israeliani voleva Netanyahu alla guida del prossimo governo, la settimana scorsa la percentuale è bruscamente calata al 49,6 per cento. La percentuale di quanti ritengono invece che il nuovo esecutivo sarà guidato da Isaac Herzog (centro-sinistra) è balzata al 20 al 30 per cento.

I conti per arrivare a una maggioranza sono invece più complessi per il centro-sinistra, anche se non è impossibile che riesca a raccogliere una coalizione ristretta in caso di vittoria. In caso di vittoria del Likud, però, Netanyahu potrebbe anche decidere di lasciare da parte alcuni alleati tradizionali e formare un governo di unità nationale con l’Unione sionista.

Le elezioni – Da quando nel 1949 si sono tenute le prime elezioni in Israele nessun partito ha mai ottenuto la maggioranza dei seggi della Knesset, in tutto 120, giunta alla sua ventesima legislatura. Si tratta di elezioni anticipate, che sono state indette a dicembre scorso dopo che il premier ha cacciato due ministri, quello delle Finanze Yair Lapid e quello della Giustizia Tzipi Livni. Nel caso in cui si dovrà formare una coalizione, il presidente israeliano Reuven Rivlin si consulterà con i leader di tutti i partiti rappresentati in Parlamento per chiedere la loro preferenza su chi debba essere incaricato come primo ministro.

In lizza ci sono 25 partiti, comprese molte liste minori, ma quelle che possono aspirare a superare la soglia elettorale di sbarramento (3,25%) sono, secondo gli attuali sondaggi, sostanzialmente 11.

A fronteggiarsi per il primato sono essenzialmente due forze: da un lato il Likud (destra) del premier Benyamin Netanyahu da nove anni al potere, dall’altro Campo sionista, alleanza di centrosinistra formata da Isaac Herzog, leader dei laburisti, e da Tizpi Livni, guida dei centristi di Hatnua (Movimento).

I partiti – Gli ultimi sondaggi danno un distacco di circa 4 seggi a favore di Campo sionista (24/25) contro il Likud (20/21). Al terzo posto con circa 13 seggi, ci sarebbe la Lista araba unita – prima volta nella storia del paese – guidata da Ayman Odeh. Subito dopo, a 12 seggi i centristi di Yesh Atid (C’è speranza) dell’ex ministro delle Finanze Yair Lapid, seguiti da Focolare ebraico – destra nazionalista religiosa vicina al movimento dei coloni – di Naftali Bennett.

A 9 seggi c’è la nuova formazione di centrodestra Kulanu (Noi tutti), guidata da Moshè Kahlon ex Likud. Dopo questa, a 8 seggi, i religiosi di Shas e, a 6 seggi, Uniti nella Torah, altra lista di religiosi. A 5 seggi, sia la sinistra di Meretz sia la destra nazionalista di Israel Beitenu (Israele casa nostra) dell’attuale ministro degli Esteri Avigdor Lieberman. Fuori sbarramento elettorale resterebbero, allo stato attuale, tutte le altre liste.

Nel calcolo della popolazione che eserciterà il diritto al voto, l’80% è costituito da ebrei, il 15% da arabi (musulmani, cristiani e drusi) e il 5% da altri.

Ad affidare l’incarico di formare il nuovo governo, in base ai risultati elettorali, sarà il presidente Reuven Rivlin. Il giorno delle elezioni in Israele è festivo ma sono assicurati trasporti pubblici e i servizi di emergenza. I primi exit pool saranno diffusi alle 22, a chiusura delle urne. Tutti i canali tv hanno in programma speciali e dirette sul voto e sui suoi risultati

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