I vecchi vizi e privilegi di casta della prima e della Seconda Repubblica, con i loro parassitismi, la loro immoralità senza vergogna, continuano anche oggi. È il caso della recente elezione di Giuseppe Tesauro a Presidente della Corte Costituzionale, la quale ripropone la prassi (non seguita con l’elezione di Quaranta) di eleggere alla presidenza il membro più anziano di nomina, ossia quello più vicino alla scadenza del mandato (quello di Tesauro, finirà il prossimo novembre).

I casi recenti di De Siervo (Presidente per soli 140 giorni), Onida (4 mesi e 8 giorni), Flick (tre mesi e 4 giorni), nonché l’eccezionale caso di Caianiello, presidente per soli 44 giorni, fanno capire che una ragione deve pur esserci. Si tratta, lo si ripete, di una prassi, e niente altro. La Costituzione (art. 135), infatti, prevede che il Presidente rimanga in carica per un triennio e sia rieleggibile, fermi restando i termini di scadenza dall’ufficio di giudice. La disposizione è stata, di fatto, elusa dalla Consulta, proprio mediante l’elezione di giudici in scadenza, con la conseguenza che, dal 1956 ad oggi, si sono succeduti ben 38 presidenti (quando avrebbero potuto, anche a non voler considerare la rieleggibilità, una ventina).

Il fatto che la Corte abbia deciso di “forzare” la norma costituzionale e di seguire la strada delle “presidenze-lampo”, non dipende altro che dalla serie di benefici e privilegi economici che spettano al Presidente. Anzitutto, rispetto agli altri giudici della Corte, al Presidente è attribuita una indennità di rappresentanza pari ad 1/5 della retribuzione (L. 87/1953 e successive modifiche). L’attribuzione del Presidente della Corte arriva così a circa 549.407,00 euro lordi all’anno. Di cui solo il 70% è tassato (mentre il restante 30% è sottratto ad ogni imposizione fiscale). Abbiamo, poi, l’alloggio di servizio, segretari, assistenti, telefoni, e, ovviamente, la pensione. Pochi mesi di Presidenza, e anche Tesauro potrà godersi la pensione da emerito (che si aggira sui 200.000,00 euro l’anno).

Nonostante l’attuale momento di crisi economica del Paese, nonostante sia ormai chiara a tutti gli italiani l’odiosa e non più sostenibile esistenza della casta, i giudici della Corte continuano, imperturbabili, a conservare le loro abitudini da antico regime, tra ermellini e super-pensioni. Certo, qualcuno deve aver cominciato a sentire che l’aria sta cambiando, se l’elezione di Tesauro è stata decisa a 7 voti contro 6 (e chissà chi ha votato Tesauro…). Forse si sarebbe potuta aspettare almeno la nomina degli altri due giudici che dovrebbero completare la composizione della Corte, che dovrà eleggere il Parlamento in seduta comune. Ma questo avrebbe fatto “saltare” a Tesauro il proprio turno.

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