Vedere un gruppo di burberi Guardiaparco del Parco Nazionale del Gran Paradiso con gli occhi lucidi, gli sguardi bassi per dissimulare l’emozione, dopo aver assistito al video che racconta le ultime ore di uno stambecco morto 20 anni fa. Capita, se lo stambecco si chiama Sultano ed è il simbolo di un modello di conservazione e tutela, quello del Parco Nazionale più antico d’Italia.

Sultano, morto alla ragguardevole età di 18 anni, capo indiscusso del suo branco per 10 anni, capace di condurlo verso i pascoli migliori nel momento più opportuno, capace di instaurare con le guardie un rapporto fatto di diffidenza e di comunicazione profonda insieme, è il simbolo di un modello vincente di tutela della fauna: proprio nel 1993, l’anno prima della sua morte, la popolazione di stambecchi del Parco aveva raggiunto il suo culmine in termini di popolazione. Sultano è il simbolo di un’area che ha saputo salvare dall’estinzione questo fiero animale delle vette e consentirne la reintroduzione in tutto l’arco alpino, ma che poi ha saputo costruire, negli anni, un modello di area protetta che sa essere anche un polo di ricerca scientifica e naturalistica “sul campo”, unico nel suo genere, perché si basa proprio su un rapporto strettissimo con il territorio, la fauna, la flora. E questo rapporto è incarnato dai 60 Guardiaparco dell’area, gli eredi delle antiche Guardie Reali di Casa Savoia (il Parco nasce dalle ceneri dell’antica Riserva di caccia di Vittorio Emanuele II).

Quello del Gran Paradiso è l’unico parco nazionale a disporre di un corpo di vigilanza proprio, che vive in quota nei capanni sparsi per l’area per molti mesi all’anno, seguendo gli spostamenti degli animali. Negli anni i compiti di questa pattuglia armata di binocolo e di computer palmare si sono estesi e vanno ben al di là della semplice vigilanza contro il bracconaggio: controllano i corretti comportamenti di turisti e gitanti, ma soprattutto sono le “antenne” della ricerca scientifica, compiendo periodici censimenti di flora e fauna, verificando lo stato dei ghiacciai, collaborando con Università e centri di ricerca a monitoraggi della biodiversità. Senza questi signori che passano lunghissime giornate in solitudine tra le vette (nel prossimo numero del “Fatto del Lunedì” in edicola racconterò la storia di uno dei più giovani Guardiaparco attualmente in servizio), oggi, per esempio, non si saprebbe che il numero degli stambecchi è preoccupantemente in calo, non si saprebbe che a causarne il declino, dopo anni di crescita, è il cambiamento climatico, non si saprebbe che Sultano probabilmente è stato l’ultimo capobranco di una popolazione in salute. Non si potrebbe, in definitiva, aggiungere un tassello importante al grande mosaico di studi che stanno raccontando il clima che cambia in tutto il mondo.

Il problema, come al solito, sono i fondi. Pur essendo uno dei pochi Parchi Nazionali ad avere un presidente e un consiglio direttivo operativo, il Pngp ha subito, nel corso degli anni, lo stesso destino di tutte le aree protette: tagli, tagli e ancora tagli, in una logica che vede i nostri beni ambientali e paesaggistici come dei “costi” e non come degli “investimenti”. L’ultimo taglio quest’anno: come ha denunciato recentemente il WWF il capitolo di bilancio “Gestione/interventi Parchi nazionali” ha registrato un taglio di circa 865mila euro, passando da 5.800.000 euro circa di inizio anno agli attuali 4.960.000 euro. Un meno 15% che pesa su strutture che nel corso degli ultimi anni hanno già dovuto ridurre all’osso le spese (il ministero dell’Ambiente nel 2010 aveva un bilancio di 1,2 miliardi di euro, oggi di soli 500 milioni).

A questo si aggiunge che i Guardiaparco sono dipendenti pubblici e quindi sottostanno alla stretta del blocco del turnover: solo un’assunzione ogni cinque pensionamenti. Meno Guardiaparco, meno presidio del territorio, meno scoperte sul futuro di stambecchi e altre specie. E quindi del futuro di tutti noi.

Sultano è un bellissimo stambecco maschio di otto anni che compare improvvisamente nel cannocchiale di Provino Chabod, guardaparco in alta Val di Rhêmes. È una mattina del giugno 1985. Nessuno ricorda di averlo mai visto prima; cosa strana perché i guardaparco conoscono i branchi e le singole bestie. Nei quaderni-diario che lasciano nelle case del parco c’è la storia di tutto ciò che di significativo avviene nella giornata…. Ma di quella bestia straordinaria non c’era traccia prima di quel momento, né scritta, né orale. La chiamano Sultano… perché spadroneggiava tra le femmine del branco. La sua vita è seguita da quel momento quasi passo dopo passo. Un giorno di marzo di molti anni dopo Chabod si accorge che Sultano sta male. Non è più saldo sulle gambe. È arrivata la sua ora. Ma non se la sente di seguirne la fine. Chiama Stefano Borney, un giovane guardaparco… Stefano cerca Sultano, lo trova e ne riprende la fine. È la morte di un capo, solitaria. I sudditi andranno ad omaggiarlo arrivando negli ultimi minuti ad allontanandosi poi, uno ad uno.

(tratto da Ariberto Segala “Sultano delle nevi. Una storia vera del Gran Paradiso”, Arca Edizioni, 2003)

Foto di Silvano Rubino

Articolo Precedente

Ruralità urbana: cosa è, cosa non è

next
Articolo Successivo

Consumo del territorio, nozze contro la cementificazione

next