Per il governo la doccia, più che fredda, è gelata. Altro che ripresa: nel primo trimestre 2014 il prodotto interno lordo italiano ha invertito la rotta. Dopo una breve illusione di ripartenza (quel +0,1% registrato a fine 2013) è sceso di nuovo: -0,1% rispetto ai tre mesi precedenti, -0,5% rispetto allo stesso periodo del 2013. Quando la recessione era conclamata. Se si guarda ai valori assoluti, poi, si scopre che il pil non scendeva così in basso (340.591 miliardi) dal 2000. Indietro di 14 anni. Ciliegina – avvelenata – sulla torta: l’Istat, che ha diffuso i dati, ha comunicato anche che per il 2014 la crescita “acquisita” del prodotto – cioè quella che si avrebbe a fine anno se nei prossimi trimestri l’economia non crescesse – è pari a -0,2 per cento. 

Una brutta sorpresa del tutto inaspettata, come ha dimostrato l’immediata virata in negativo di Piazza Affari che ha poi chiuso la seduta a -3,6% a causa però soprattutto del crollo di Mediaset e dei titoli bancari. I mercati non reagiscono così male quando sono preparati all’arrivo di un dato negativo. Colpa anche dell’andamento dei titoli di Stato con i Btp che hanno registrato un nuova crescita degli interessi al 3,1%, una soglia tutto sommato contenuta rispetto ai livelli di allarme degli anni scorsi, che però ha rimarcanto la distanza dal Bund decennale tedesco, portando il famigerato spread oltre i 180 punti dopo che, nei giorni scorsi, si era festeggiata la discesa sotto quota 145 per un tasso dei Buoni italiani sceso sotto il 3 per cento.

Qui però, più che il Pil hanno pesato le indiscrezioni sul fatto che un Paese dell’area euro sarebbe sul punto di introdurre una tassazione retroattiva sui guadagni sui titoli di Stato per gli investitori non residenti, con effetti a catena sulle banche. Per quanto l’indiziato numero uno fosse la Grecia (che ha smentito, così come il Tesoro italiano), questi rumor hanno causato un effetto domino che ha colpito anche l’Italia.

Tornando al Pil, comunque, pur continuando a sperare in un’ulteriore inversione di tendenza a questo punto appare del tutto improbabile che il sistema Italia sia in grado di dare un colpo di reni tale da allinearsi alle previsioni che Matteo Renzi e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan hanno inserito nel Documento di economia e finanza: la loro stima di crescita (“prudente e rigorosa”, assicuravano) per quest’anno è dello 0,8 per cento. Il Fondo monetario e la Commissione Ue avevano però già comunicato che sarebbe stata al massimo dello 0,6%, dato confermato solo 10 giorni fa dallo stesso istituto di statistica.

Peccato che i numeri di oggi aprano scenari ben peggiori. Sul fronte economico e, ovviamente, anche su quello politico. Con le elezioni alle porte, la diffusione di quel dato con il meno davanti rompe le uova nel paniere di Renzi proprio mentre l’esecutivo, in difficoltà nel rispettare i tempi delle riforme promesse, punta tutto su speranza, ottimismo e fiducia. Che dovrebbero essere innescati, oltre che dal martellamento comunicativo del premier e dei suoi ministri, anche dall'”effetto psicologico” di misure come gli 80 euro in busta paga. Somma che, se anche avrà un impatto minimo sui consumi, negli auspici avrebbe dovuto almeno alzare il morale degli italiani. 

Non per niente, lo stringato commento (ufficioso) del Tesoro cerca appiglio proprio negli 80 euro, spiegando che “a rilanciare i consumi e quindi l’economia sarà il taglio dell’Irpef”, senza contare che “durante la presidenza del semestre europeo l’Italia darà una svolta alle politiche in favore di crescita ed occupazione”. Padoan non parla ma twitta: “Pil speculazione spread… Teniamo alta la guardia: testa alla crescita, occhi sui conti, cuore all’occupazione”. Segue un nuovo hashtag, #riformareovivacchiareIl sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio ha tentato invece di gettare acqua sul fuoco sostenendo che il dato “non è affatto sorprendente” e “il motivo per cui il governo ha accelerato è perché sapeva che la crisi non era finita”, ma “il Paese sta reagendo, vediamo la tendenza della ripresa” e “abbiamo fiducia nelle misure messe in campo”, come “il pagamento dei debiti della Pa, gli 80 euro, il taglio dell’Irap e l’applicazione della legge Sabatini”.

Staremo a vedere. Anche perché, come ilfattoquotidiano.it ha scritto meno di un mese fa, Renzi ha un asso nella manica: il nuovo metodo di calcolo del pil Esa 2010, che entrerà in vigore in tutta Europa da settembre e promette di regalarci, senza che nulla cambi in concreto, tra l’1 e il 2% di crescita in più. Certo è che il comunicato dell’Istat è bastato per dare la stura a un diluvio di prognosi infauste di cui Renzi, a dieci giorni dal voto, avrebbe volentieri fatto a meno. L’istituto di ricerche Nomisma ha per esempio fatto sapere che “lItalia è praticamente in stagnazione” e, anche tenendo conto di possibili rialzi nei successivi trimestri, “l’incremento del Pil del 2014 è dello 0,2-0,3% e non dello 0,8% (ipotizzato dal governo) o del 0,6% (previsto dalla Commissione Ue)”. Secondo il capo economista Sergio De Nardis “non ci sono spazi per un vero sostegno alla domanda” e l’unica via d’uscita è un intervento della Bce sul fronte monetario. 

Paolo Mameli, economista di Intesa Sanpaolo, parla di dato “sorprendente” che “segnala consistenti rischi verso il basso sulla crescita 2014”. E si spinge a mettere in dubbio l’attendibilità di alcuni indicatori di fiducia che, nell’ultimo periodo, avevano fatto ben sperare: la “preoccupante divergenza tra evoluzione degli indici di fiducia e andamento dei dati reali”, spiega, “potrebbe essere dovuta a distorsioni dei campioni utilizzati nelle indagini, causate dalla perdita di capacità produttiva o da code assai negative nella distribuzione”. Anche perché il calo registrato nei primi tre mesi dipende soprattutto dall’andamento negativo dell’industria, mentre la variazione dei servizi è stata nulla e l’agricoltura ha registrato un lieve aumento del valore aggiunto. 

Non aiuta poi che, come comunicato dal Tesoro in serata, le entrate tributarie e contributive nel periodo gennaio-marzo 2014 abbiano mostrato nel complesso una contrazione dello 0,6% (-860 milioni di euro), rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente. La variazione registrata è la risultante della crescita del gettito tributario pari al 2,5% (+2.212 milioni di euro) e della flessione, in termini di cassa, nel comparto delle entrate contributive pari a -5,6% (-3.075 milioni di euro). Il dato sulle entrate tributarie comprende anche i principali tributi degli enti territoriali e le poste correttive, quindi integra quello già diffuso con la nota del 5 maggio scorso. La diminuzione delle entrate contributive nel primo trimestre 2014, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, invece è attribuibile allo slittamento dei termini per il pagamento dei premi Inail al mese di maggio.

Come è inevitabile, anche le reazioni politiche non si sono fatte attendere. Beppe Grillo ha pubblicato sul suo blog un post dal titolo Renzie in recessione. Commento: “Mentre Renzie il bamboccio va in giro per l’Italia a raccontare balle nonostante le continue contestazioni, l’economia italiana affonda”, scrive il leader dei 5 Stelle. Da Forza Italia a Sel, poi, è un coro di commenti sul “bluff di Renzi”, la “smentita delle illusioni” e la necessità di scelte più coraggiose. Quanto ai sindacati, la Cgil in una nota scrive che “i dati di oggi confermano purtroppo che non è possibile l’ottimismo a buon mercato”, “la ripresa non è iniziata e il vero problema di politica economica è quello di costruire la ripresa”. Luigi Angeletti (Uil) commenta: “La vedo brutta. Pensavamo ad un segno positivo anche se impercettibile, perché questo doveva essere l’anno di uscita dalla crisi. Ma se il dato è quello, bisognerà fare miracoli”. Giovanni Centrella (Ugl) attacca sostenendo che “tra delocalizzazioni, crisi aziendali, tagli alla spesa pubblica, aumento delle tasse e disoccupazione il motore dell’Italia si è fermato, dando il via ad una pericolosa desertificazione industriale” e “ci vuole molto di più di un regalo in busta paga, se arriverà e se non se ne pretenderà l’implicita restituzione, o una pericolosa deregolamentazione del lavoro per far ripartire un intero sistema al collasso”.

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