Cultura

Gabriel Garcìa Màrquez morto, l’amicizia con Fidel Castro e quel pugno di Llosa

Impossibile essere un grande scrittore, un opinion leader, quasi un guru in America Latina, senza impregnarsi di politica e ideologia. E lo scrittore colombiano non faceva certo eccezione. Un amico di Cuba sincero e critico, dunque, ma non per questo esente da critiche da parte dell’establishment culturale e politico occidentale

di Domenico Naso

Un pugno in pieno viso, anzi un puñetazo, come lo chiamano gli spagnoli, è la conclusione fisica di un complicato rapporto tra uomini di intelletto, quello tra Mario Vargas Llosa e Gabriel Garcia Marquez. Prima amici che più amici non si può, stesso agente, collaborazioni continue, poi la rottura dolorosa e “violenta”. È il 1976, e lo scrittore peruviano provoca un occhio nero sul volto di Gabo. Per questioni politiche, dirà Garcia Marquez. “Perché Mario è uno stupido geloso”, affermerà più prosaicamente la moglie di Vargas Llosa.

Qualunque sia stato il motivo, lo scontro fisico tra i due monumenti della letteratura sudamericana è il paradigma della contrapposizione tra due modi di intendere l’America Latina e le sue complicate dinamiche sociali e politiche. Eppure Mario e Gabo erano partiti da idee molto simili, contrastando da sinistra l’affollato gruppetto di dittatori che imperversava negli anni Cinquanta e Sessanta nel subcontinente latino. Garcia Marquez sarebbe poi rimasto fedele a quelle idee per tutta la vita, non senza contraddizioni e polemiche, mentre Vargas Llosa era addirittura approdato sulla sponda inusuale del neoliberismo, pur senza perdere uno spiccato spirito democratico, diventando l’antitesi del suo amico di un tempo. Risultato? Gli ultimi trent’anni di sdegnato silenzio, con il conto dei Nobel pareggiato nel 2010 con la vittoria di Vargas Llosa e la chiusura del cerchio. Impossibile essere un grande scrittore, un opinion leader, quasi un guru in America Latina, senza impregnarsi di politica e ideologia. E Gabriel Garcia Marquez non faceva certo eccezione. Anzi.

A cominciare dal rapporto di amicizia strettissimo che già prima della Rivoluzione aveva instaurato con Fidel Castro. Un rapporto ininterrotto e costante, sincero e appassionato, ma non privo di critiche. Marquez non amava tutte le sfaccettature della burocrazia socialista cubana, ma capiva, dal suo punto di vista, che l’esperimento rivoluzionario di Castro e Guevara era la cosa che più si avvicinava al socialismo latinoamericano che aveva combattuto per decenni contro le dittature, spesso foraggiate dall’Occidente “democratico”.

Un amico di Cuba sincero e critico, dunque, ma non per questo esente da critiche da parte dell’establishment culturale e politico occidentale. Per alcuni, Gabriel Garcia Marquez aveva deciso di combattere l’autoritarismo di destra appoggiando un autoritarismo di segno opposto. E la questione si era ripresentata con forza anche con l’avvento al potere in Venezuela di Hugo Chavez. L’esperimento del socialismo bolivariano di Chavez non poteva lasciare indifferente Gabo, da decenni alla ricerca di una risposta democratica e di sinistra alle “repubbliche delle banane” che per troppi anni avevano segnato negativamente il destino dell’America Latina. E anche nei confronti di Chavez, lo scrittore colombiano non si era dimostrato per nulla tenero, avanzando critiche ai metodi non esattamente democratici del caudillo di Caracas. Anche in questo caso, però, per alcuni, in Occidente, le critiche erano troppo timide e l’ambiguità del rapporto tra Garcia Marquez e il Venezuela chavista è rimasta lì, accanto a quella filocubana, a segnare il profilo politico-ideologico di uno scrittore troppo impegnato e appassionato per decidere di non schierarsi, di non prendere parte al gioco di potere iberoamericano.

Ma Gabo, per cui in Colombia sono stati indetti tre giorni di lutto, era una sorta di Papa laico di una certa cultura internazionalista di sinistra, non temeva le critiche e poteva contare su un appoggio internazionale vasto e articolato. Sorprendente, a volte: come quando Bill Clinton, allora presidente degli Stati Uniti, non aveva avuto problemi a definire Garcia Marquez il suo scrittore preferito. Pazienza se si trattava dell’amico dei nemici di Washington. Gabo era qualcosa di più di un intellettuale engagé. Era altro e di più, e nonostante alcune scelte politiche francamente discutibili, nessuno, neppure tra i suoi avversari, ha mai potuto negargli uno spirito sinceramente democratico e la volontà di contribuire, anima e corpo, alla normalizzazione della sua America Latina.

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