Un anno fa moriva Hugo Chavez. Non ho avuto, purtroppo, occasione di incontrarlo e di conferire direttamente con lui, neanche quando venne a Roma, a Monte Sacro, per celebrare il bicentenario del giuramento che Simon Bolivar pronunciò nella nostra città. Il luogo dove Bolivar tenne tale giuramento è altamente simbolico. Fu sul Monte Sacro, infatti, che si ritirarono i plebei per protestare contro la struttura classista dell’antica Roma che li vedeva esclusi da ogni possibilità di esercitare il potere. Fu l’evento che diede origine alla lunga, secolare lotta di classe che produsse profonde modificazioni nelle istituzioni repubblicane, con l’istituzione, fra l’altro, dei tribuni della plebe, l’abolizione del carcere per debiti, e la possibilità per qualunque cittadino romano, quale che ne fosse la nascita, di accedere alle magistrature supreme.

Bolivar scelse il Monte Sacro per il suo giuramento proprio per evidenziare un collegamento con quell’antica esperienza storica. Sulle orme di Bolivar, Chavez ha sempre tenuto presente due aspetti della lotta rivoluzionaria. Sul piano interno, per sottrarre alle oligarchie, rappresentate alternativamente dal partito socialdemocratico Accion democratica e da quello democristiano Partido socialcristiano, il monopolio del potere. Ma senza limitarsi alla sfera politica, per determinare invece, sul piano sociale, le condizioni per l’avanzamento e la partecipazione delle classi subalterne. In primo luogo attraverso l’accesso alla cultura e all’istruzione. E ovviamente alla salute.

Voglio parlare a tale proposito di mie esperienze personali. Come quel signore cinquantenne, da me incontrato durante la manifestazione oceanica svoltasi a Caracas ad inizio del febbraio 2006, che mi disse che, dopo aver cominciato a lavorare ad otto anni ed aver sempre lavorato, aveva finalmente potuto conseguire la licenza media grazie alle misiones introdotte da Chavez. Come lui milioni di altri venezolani, che avevano potuto studiare grazie a un programma che ha fatto sì che oggi in Venezuela ci sia un tasso molto alto di alfabetismo e di scolarizzazione. O quella signora di uno dei quartieri più poveri di Valencia, che pianse quando un gruppo di medici, fra cui una dottoressa cubana, raggiunse la sua casa per soccorrere il figlio dodicenne che soffriva di una grave patologia. Era la prima volta che vedeva un medico. Io c’ero e non parlo per partito preso o per sentito dire.

Sul piano internazionale Chavez ha operato con successo, per rilanciare, attraverso nuove organizzazioni internazionali il protagonismo e l’integrazione tra gli Stati latinoamericani, per lunghi decenni relegati in condizione subalterna e pesantemente infiltrati dall’azione della potenza dominante su scala regionale e mondiale. Gli Stati Uniti hanno loro imposto, come esaurientemente documentato dagli storici e ammesso dagli stessi governanti statunitensi, prima le dittature genocide e poi i lunghi anni del neoliberismo, durante i quali questi Paesi, come oggi per molti aspetti quelli europei, erano dominati dalle dittature delle istituzioni finanziarie internazionali, Fondo monetario internazionale e Banca mondiale.

Da entrambi i punti di vista l’azione di Chavez, nonostante la sua prematura morte, che ha privato tutta l’umanità di un leader di primo piano, ha raggiunto risultati che non possono e non potranno essere disconosciuti o annullati. I risultati acquisiti quando Chavez era vivo ed operante non si cancellano neanche investendo miliardi di dollari. Ecco perché il chavismo è un osso duro che resisterà, ne sono convinto, a qualsiasi tentativo di destabilizzazione. Anche se i retaggi del passato, come la violenza e la corruzione diffuse, sono ancora forti. E proprio chi ha determinato le condizioni affinché questi flagelli prosperassero, li addita oggi come pretesti per levare di mezzo il governo democraticamente eletto di Maduro e tornare al Venezuela di prima di Chavez. Ma la storia non torna indietro. Certamente si registrano insufficienze e ritardi nell’azione di governo, come argomenta in modo interessante e documentato un conoscitore della situazione venezolana Angelo Zaccaria. Ma le regole democratiche vanno comunque rispettate, a meno che non si punti sul caos e la guerra civile e non si speri nell’intervento armato degli Stati Uniti, come fanno quei settori della destra venezolana che vanno definiti fascisti perché tali sono.

Chavez purtroppo ci ha lasciato un anno fa, ma  non credo che lorsignorsi abbiano molti motivi di speranza. Fa bene Maduro a chiedere il dialogo perché il clima di esasperata contrapposizione che certi settori della destra cercano di alimentare  è contro gli interessi del popolo venezolano nel suo complesso. Occorre respingere la violenza e ogni vittima va pianta e ad ogni vittima va resa giustizia. Si tratti degli undici chavisti uccisi dai fascisti dopo le ultime elezioni presidenziali o delle diciotto vittime, chavisti o no, uccisi negli ultimi tempi. O delle centinaia, o più probabilmente migliaia di venezolani uccisi dalle forze repressive del vecchio regime nel 1989, durante il Caracazo, che non ebbero, all’epoca, il conforto e la cronaca in diretta dei grandi media, da Repubblica alla CNN. Chavez, che era comandante militare, si rifiutò di sparare sulla folla. Cominciava così la sua grande e ammirevole carriera di rivoluzionario. Un esempio di coerenza da imitare in questo modo purtroppo pieno di servi e di mediocri.

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