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Talebano in arabo significa studente di una scuola coranica. Shura è il nome che si dà alla “consultazione” che portò all’identificazione di ‘Uthmān b. ‘Affān, terzo califfo dell’Islam. Oggi, è più comunemente considerato un istituto in cui alcuni musulmani cercano di rintracciarvi le fondamenta di una “democraticità” religiosa ispirata ai princìpi della Sharia. Anche i talebani afghani hanno una Shura, che risiede a Quetta, in Pakistan. Una camera di consiglio presieduta da una dozzina di signori della guerra. Sono lo zoccolo duro dei rivoltosi che in Afghanistan le forze di interposizione della Nato chiamano “insorti”. Sono i loro mullah, il loro clero per intenderci: ispiratori della legge sacra, scrivono sermoni che in poco tempo finiscono online e si tramutano nella retta via da intraprendere, quella della jihad.

La Shura di Quetta è in un certo senso uno dei più potenti consigli dell’universo radicale islamico. Rappresenta la protesi dell’Emirato dell’Afghanistan, lo Stato venutosi a creare in seguito alla presa di Kabul da parte dei talebani nel 1996 e distrutto in seguito all’invasione statunitense del 2001. I suoi componenti aderiscono al deobandismo, una setta puritana dell’Islam sunnita nata nell’Asia meridionale a fine ‘800. Poi, la morte di alti dirigenti come il Mullah Akhtar Mohammad Osmani (nel 2006), del Mullah Dadullah (2007) e l’arresto del Mullah Abdul Ghani Baradar (nel 2010), hanno obbligato i vertici dell’organizzazione a una sorta di rimpasto.

Ad oggi il Mullah Mohammad Omar, l'”Amir al-Mumineen” (“Comandante dei Fedeli”) resta il leader indiscusso del movimento. Le più importanti decisioni politiche e strategiche sono prese in suo nome. I suoi annunci semestrali rilasciati durante le festività musulmane Eid ul-Fitr e Eid-ul Adha sono considerati autentiche dichiarazioni politiche e delineano la risposta dei talebani afghani alle principali questioni internazionali.

Omar ha 54 anni, di etnia pashtun e in molti lo descrivono come un uomo alto, circa 198 centimetri, poligamo e padre di cinque figli. Ferito al punto di morire per ben quattro volte, si dice abbia perso l’occhio destro. Sulla sua testa pende una taglia di 25 milioni di dollari spiccata dal Dipartimento di Stato americano. Ben 10 milioni per informazioni che possano portare alla sua cattura.

Nessuno nell’attuale gerarchia talebana sembra averlo mai incontrato personalmente, tranne Mullah Gul Agha Akhund, un altro membro della Shura di Quetta e suo stretto collaboratore, il solo considerato in contatto attivo con Omar. L’unica fonte attendibile in relazione agli ordini trasmessi dal leader solitario. E tuttora latitante.

La guida terrena, secondo le informazioni più recenti, oggi sembra infatti essere il mullah Akhtar Mohammad Mansour, dato per morto in diverse circostanze anche se il suo decesso non è mai stato confermato ufficialmente. È un ex ministro dell’aviazione durante il regime talebano, è considerato un pragmatico e ha l’appoggio della Confederazione dei Pashtun Durrani, che include molti talebani provenienti dall’ex roccaforte di Kandahar. Mansour ha sostituito Abdul Qayum Zakir, un altro uomo forte di Quetta – ex detenuto di Guantanamo e considerato il comandante generale delle operazioni militari – nel 2012. I due oggi sono considerati dei rivali, ma la loro concorrenza è piuttosto contenuta.

Entrambi si affiancano ad altri personaggi di spicco, come i mullah Mohammad Hassan Rahmani, Abdul Rauf Khadim, Abdul Razzaq, Mawlavi Qudratullah Jamal e Amir Khan Muttaqi, l’ex ministro della cultura e dell’informazione del regime, ritenuto lo spin doctor del movimento.

La stragrande maggioranza dei combattenti e dei dirigenti talebani sono di etnia pashtun, anche se la formazione non si fonda su princìpi etno-nazionalisti e men che meno tribali, tant’è che attira islamici di vario genere; il clan di appartenenza o l’identità tribale non sono considerati tratti specifici per sbarrare l’adesione a un candidato della Shura.

Il consiglio di Quetta ha tutti i crismi di un governo in esilio, funziona come un gabinetto centrale dei talebani e sostiene di trarre la sua legittimità dall’islam, giustificando ogni azione, pur violenta, in nome della religione musulmana. Nel corso degli anni ha stabilito posizioni politiche chiare, ha ribadito la sua intenzione di mantenere una propria identità, distinta da Al Qaeda, e circoscritta per ambizioni e progetti rigorosamente in Afghanistan. Sono stati Zakir e Mansour, dal 2010, a curare i rapporti con i delegati europei e americani per l’apertura di un ufficio dei talebani a Doha, in Qatar.

Per quanto riguarda i rapporti con il Pakistan, le due forze non appaiono condividere un obiettivo strategico finale, ma si impegnano in una relazione transazionale condizionata da più di due decenni di interdipendenza. Islamabad si è sempre mostrata riluttante a chiudere la Shura, nonostante le pressioni Usa e le ripetute richieste da parte di Hamid Karzai. 

Numerosi dossier riferiscono di un finanziamento stretto tra le parti. Non sono pochi, infatti, i leader talebani che godono di piena libertà di circolazione all’interno del territorio pakistano. Uno di questi era Maulana Abdullah Zakiri, morto il 31 dicembre scorso. Il suo funerale, a Quetta, ha attirato 10.000 persone, inclusi centinaia di chierici. Quasi un lutto nazionale

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