Alla fine è stata reintegrata nel posto di lavoro da cui nel 2009 era stata illegittimamente licenziata. Peccato però che tra la nuova e la vecchia sede di lavoro ci sia una distanza di oltre 400 chilometri. Protagonisti della vicenda la 50enne Lucia Di Maio e il gruppo della grande distribuzione Unicoop Tirreno. Al momento del licenziamento la signora lavorava in un supermercato di Solofra (Avellino), città in cui risiede anche attualmente: a seguito della sentenza del tribunale di Avellino del 10 aprile 2013 con cui è stata decretata l’illegittimità del licenziamento (“privo di giustificato motivo soggettivo”) l’azienda ha provveduto al reintegro assegnando però la lavoratrice al supermercato di Orbetello (Grosseto).

“Questa soluzione rappresenta innegabilmente un grande disagio – afferma Di Maio – anche perché non potrò permettermi di tornare tutte le settimane a casa”. L’auspicio della donna è perciò quello di essere avvicinata alla Campania: “Già il Lazio potrebbe essere una soluzione migliore”. L’Unione sindacale di base (Usb) punta il dito contro l’azienda e parla senza mezzi termini di “rappresaglia a marchio Coop” nei confronti di una persona che ha soltanto cercato di “rivendicare un sacrosanto diritto“.

Il braccio di ferro tra l’azienda e la lavoratrice non si è fermato con la sentenza del giudice. Il via libera di Unicoop Tirreno al reintegro effettivo è arrivato soltanto nei giorni scorsi: a fine gennaio l’azienda non aveva infatti ancora ottemperato a quanto previsto dal tribunale. Lo scorso 6 febbraio l’Usb era tornata a contestare l’operato dell’azienda con un presidio e una conferenza stampa a Roma davanti alla sede dell’Associazione nazionale delle cooperative di consumo. Il sindacalista Francesco Iacovone ricorda “il polverone mediatico” che si è alzato sull’intera vicenda sottolineando inoltre l’interessamento da parte di alcuni deputati del Movimento 5 Stelle (tra gli altri Silvia Chimenti e Gessica Rostellato che insieme a un gruppo di colleghi venerdì 21 hanno presentato una mozione parlamentare sulla vicenda) e di Sel (Ileana Piazzoni e Giancarlo Giordano). L’esponente dell’Usb non risparmia perciò dure critiche a un’azienda “che nella propria carta dei valori assicura il rispetto dell’equità e della dignità delle persone”.

Nelle ore scorse Iacovone ha anche inviato una lettera aperta al presidente della Camera Laura Boldrini: “Lucia, dopo aver subito il danno, subisce anche la beffa e viene reintegrata a oltre 400 chilometri da casa: questa è la rappresaglia che subisce chi rivendica i propri diritti”. E l’azienda che risponde? Dal quartier generale di Unicoop Tirreno rispediscono al mittente tutte le accuse. L’azienda sostiene che non esista alcuna punizione: “Al momento l’unico punto vendita in cui possiamo prevedere l’assunzione di una persona è quello di Orbetello”. Dall’azienda sottolineano inoltre come l’iter giudiziario non si sia affatto concluso con la sentenza dell’aprile scorso: Unicoop Tirreno ha infatti deciso di ricorrere in Appello.

Le radici di questa intricata vicenda affondano nel 2009, anno in cui Unicoop Tirreno decide di cedere il supermercato di Solofra (insieme a quelli di Castellammare di Stabia, Soccavo e Nocera) alla Immobiliare Srl: una sessantina i dipendenti coinvolti nell’operazione. Il progetto però non decolla e nel giro di poco arrivano i licenziamenti. A Solofra in pratica l’attività non inizia neanche. Secondo il tribunale alcuni aspetti della faccenda potrebbero far pensare al “carattere fraudolento dell’operazione commerciale”. Di Maio chiede di essere reintegrata in Unicoop Tirreno ma l’azienda – oltre 5mila dipendenti e 110 punti vendita tra Toscana, Lazio, Campania e Umbria – risponde che non ne esistono le possibilità. Da qui la decisione di ricorrere (insieme alla collega Margherita Molinaro) alle vie giudiziarie. Il reintegro “con beffa” è soltanto l’ultima puntata di una telenovela che non sembra essere ancora affatto finita.

Articolo Precedente

Caso Elkann: l’altra faccia della medaglia

next
Articolo Successivo

Professioni: quando un lavoratore autonomo si ammala. La storia di Daniela

next