Approvato in serata il decreto sulla cosiddetta “manovrina” per il rientro del deficit nel 2013. Il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni ha spiegato che si tratta di un intervento da 1,6 miliardi, che dovrebbe riportare il disavanzo pubblico sotto la soglia del 3%, secondo quanto richiesto dall’Europa. Il Consiglio dei ministri ha trovato le risorse necessarie per la manovra soprattutto con tagli ai ministeri e ai trasferimenti agli enti locali, per un totale di 1,1 miliardi. I restanti 500 milioni di euro saranno ottenuti vendendo immobili di proprietà dello Stato alla Cassa depositi e prestiti. Nessun aumento, dunque, delle accise sulla benzina, come invece era stato ipotizzato in un primo momento.

L’Italia si adegua quindi alle richieste che arrivano da Bruxelles. Sui conti pubblici del nostro Paese pesava l’avvertimento di Olli Rehn, commissario europeo per gli Affari economici e monetari: se il deficit avesse sforato la soglia del 3%, l’Europa avrebbe riaperto una procedura di disavanzo eccessivo nei confronti di Roma. La prossima legge di stabilità, ha spiegato il titolare del Tesoro, dovrà essere in grado “di ridurre la spesa e le tasse contemporaneamente mantenendo gli obiettivi concordati in sede europea”, ai quali “dobbiamo far fronte a causa dell’elevato indebitamento”.

Inevitabile, dunque, la “manovrina” da 1,6 miliardi di euro. “La copertura di questo importo è con due modalità”, ha fatto sapere il titolare del Tesoro. “La vendita di immobili di proprietà del Demanio per 500 milioni di euro e la riduzione delle spese dei ministeri e dei trasferimenti degli enti locali per 1,1 miliardi’’. In particolare, gli immobili saranno venduti alla Cassa depositi e prestiti. I Comuni, penalizzati dal taglio ai trasferimenti, dovranno accontentarsi dei 120 milioni in più sul fondo di solidarietà comunale 2013 per assicurare la spettanza del gettito Imu. Per quanto riguarda invece gli esborsi dei dicasteri, Saccomanni ha precisato: “I tagli alla spesa sono tagli sulle spese rimodulabili e ancora oggetto di discrezionalità dei singoli ministeri con l’esclusione di ministeri come la ricerca, l’istruzione e la sanità, in forma più o meno lineare”.

Nella manovra non sono previsti fondi per il rinnovo della cassa integrazione. L’intervento è rinviato a una fase successiva. Al momento dell’approvazione della legge stabilità, infatti, “c’è la possibilità di fare un decreto legge parallelo in cui possono essere affrontate questioni aperte”. In vista della legge di stabilità, tra l’altro, i ministri avrebbero condiviso “l’idea di dare un significativo segnale della riduzione del cuneo fiscale e sulle buste paga dei lavoratori”, ha spiegato Saccomanni. Confermati invece i 210 milioni per l’emergenza profughi, tra i 190 milioni del fondo immigrazione e i 20 milioni da destinare specificatamente ai minori stranieri non accompagnati. Arriva inoltre un indennizzo per le imprese “che abbiano subito danneggiamento di materiali, attrezzature e beni in conseguenza di delitti commessi al fine di impedire, turbare o rallentare la realizzazione di opere” come il Tav. Altro obiettivo della manovra, alleggerire l’esposizione creditizia delle banche nelle operazioni in strumenti derivati per favorire un collocamento più agevole ed economico dei titoli di Stato. Si prevede la prestazione di garanzie bilaterali per gestire i rischi conseguenti alle operazioni in derivati.  Al Consiglio dei ministri, tuttavia, non si sarebbe parlato della “golden power” e di Alitalia.

Nelle prossime ore, due importanti appuntamenti internazionali attendono il ministro: giovedì sarà a Washington per la riunione al Fondo Monetario Internazionale, lunedì invece sarà a Lussemburgo per l’Ecofin. In queste sedi, al titolare di via XX Settembre premeva “annunciare non solo che il governo è nella pienezza dei poteri e in grado di gestire le sfide economiche per un periodo congruo, ma anche che abbiamo preso misure per riportare l’indebitamento entro il 3 per cento”. Per questo, “c’è l’esigenza di dare un segnale di carattere più generale che c’è un progresso sulla crescita e un segnale di stop di una fase di declino”. Ma non ha nascosto un rimpianto: senza la crisi di governo “lo spread si sarebbe già avvicinato a livelli più bassi, che avevamo considerati alla nostra portata, già in questa fase di chiusura 2013”.

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