Un comportamento “tipico della mafia”, ha scritto sul suo account twitter il deputato di Izquierda Unida Alberto Garzón. In pochi secondi 425 retweet e migliaia di commenti sulla rete. Il caso Bárcenas, l’ex tesoriere del partito popolare già in carcere, accusato di frode e di aver gestito per anni i fondi neri del partito al governo spagnolo, sembra diventare sempre più conforme alla trama di un giallo. L’ultima trama è la distruzione delle prove: il partito di Rajoy ha sì consegnato alla magistratura i due computer che l’ex tesoriere utilizzò per vent’anni nel suo ufficio all’interno del palazzo del partito, ma senza hard disk. O meglio con un disco rigido azzerato e formattato. In quei computer, secondo Luis Bárcenas, c’erano dei file scottanti: prove del presunto finanziamento illegale e i pagamenti extra elargiti ai vertici del Partido Popular e non dichiarati al fisco. Ma i periti informatici della polizia scientifica, messo mano ai due dispositivi, non hanno potuto che prendere atto della situazione e riferire al magistrato.

Che fine hanno fatto le memorie dei due pc? Il partito popolare non ha perso tempo a confessare, in una nota inviata al giudice Pablo Ruz, che le informazioni dei dischi erano state distrutte, secondo “il protocollo abituale della legge di Protezione dei dati che obbliga a cancellare e formattare i computer ogni volta che un utente lo restituisce all’impresa per riconsegnarlo a un’altra persona”. Il partito di Rajoy lo avrebbe fatto ad aprile. Due mesi prima scoppiava lo scandalo sulla presunta “contabilità B” e solo pochi giorni prima un tribunale aveva archiviato la denuncia presentata dall’ex tesoriere contro il Pp, proprio per il furto di quegli stessi pc. A complicare ancor di più la vicenda sono state le dichiarazioni della segretaria generale del partito, Dolores de Cospedal che, davanti al giudice dell’istruttoria lo scorso 14 agosto, aveva assicurato come i due computer usati da Bárcenas fossero tenuti sotto custodia nella sede nazionale del partito, nella via Génova di Madrid, pronti per essere esaminati.

I due pc erano un Mac e un Toshiba. Nel primo i periti informatici sono riusciti a risalire a 467 giga di materiale. Nel secondo computer consegnato dal partito invece non c’è nessun hard disk, quindi nemmeno alcun dato. Ma è proprio dal Toshiba, che secondo quando aveva dichiarato testualmente l’ex tesoriere, Bárcenas aveva copiato le informazioni nella pen drive poi consegnata al giudice. Tra i file c’erano quini documenti relativi al Pp – nello specifico la presunta “contabilità B” degli anni 93, 94 e 95 e i pagamenti in nero per la campagna elettorale del 1993 – ma anche documenti personali sui suoi conti in Svizzera. “È questa la trasparenza del Pp: evitare l’argomento in Parlamento e distruggere i dischi rigidi dei computer”, è stato il primo commento a caldo di Óscar López, della segreteria organizzativa del partito socialista. Una trasparenza più volte sbandierata durante il discorso del premier Rajoy in Parlamento lo scorso primo agosto proprio sul caso Bárcenas: “Lui mente e ci accusa per difendersi”, aveva poi spiegato. Adesso però la possibilità di smentire nero su bianco le accuse dell’ex amico, senatore e tesoriere del Pp, è andata perduta. Insieme agli hard disk che il partito ha cancellato.

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